
di Diana & Wilde
Collezioni naturalistiche: preziose memorie di fauna e ambiente
Solo attribuendo una visione storica alla ricerca faunistica è possibile inquadrarla correttamente. I casi della gallina prataiola e della falsa biodiversità di Roma
di Spartaco Gippoliti e Giuliano Milana
I contingenti di alcune specie non sono fissi nel tempo ma subiscono delle fluttuazioni e possono, per diversi motivi, arrivare anche all’estinzione. Le cause del declino vanno ricondotte all’influenza di differenti variabili e il peso di ciascuna variabile non è identico. Al contempo alcune specie sono più o meno capaci di reagire al cambiamento, ovvero hanno una miglior plasticità che permette loro di tollerare più facilmente le perturbazioni avvenute nel loro habitat. Per accorgersene basta guardare i quadri ottocenteschi, che fotografano la “campagna romana”, e rendersi conto di come i cambiamenti occorsi debbano per forza avere influenzato pesantemente la fauna presente, per quantità e qualità.
Il monitoraggio della biodiversità ci aiuta a capire le conseguenze del cambiamento dell’uso del suolo o del nostro aumento demografico sugli ecosistemi. Le ricerche attuali possono acquisire ancora maggiore rilevanza se disponiamo di dati storici che possano servirci da punto di riferimento. Senza tale memoria storica non abbiamo un “punto zero”, una base su cui costruire ragionamenti sensati sulle dinamiche che hanno interessato le popolazioni di animali presenti in un determinato luogo ma sono una fotografia istantanea che tralascia troppi dettagli pregressi.
Il caso della gallina prataiola
Oggi in Italia sopravvive una sola specie di otarda, la gallina prataiola Tetrax tetrax con due distinte popolazioni in Puglia e Sardegna. La gallina prataiola in Italia è stata specie cacciabile fino al 1977; oggi IUCN la considera specie NT (quasi minacciata) a livello globale e VU (vulnerabile) a livello Europeo.
Le otarde sono grossi uccelli affini alle gru legati agli ambienti stepposi, un tipo di habitat che ha ricevuto scarsa attenzione nelle politiche ambientali recenti focalizzate maggiormente sulla riforestazione e il rewilding in genere senza troppi approfondimenti. Questi uccelli iconici hanno da sempre attirato la nostra attenzione e così un vecchio articolo pubblicato nel 1892 dal professor Antonio Carruccio su alcune rarità conservate nelle collezioni ornitologiche del Museo di Zoologia della Regia Università di Roma non ci è passato inosservato (per ulteriori approfondimenti sull'intera attività ornitologica di Carruccio a Roma e la sua collaborazione con importanti ornitologi-cacciatori, si veda il recente lavoro di Gippoliti e Battisti). Nel lavoro intitolato Di alcune rarità ornitologiche esistenti nel Museo Zoologico della Regia Università di Roma, il Carruccio si concentra in particolare su una speciale collezione, quella Provinciale, da lui fortemente voluta, per arrivare ad un quadro faunistico dell’allora Provincia di Roma (allora l’attuale Lazio senza la Provincia di Rieti).
Almeno quattro specie
Tra le poche specie trattate in questo saggio, il Carruccio cita reperti di ben quattro specie di otarde sicuramente raccolte nei confini allora ben più vasti della Provincia romana. In dettaglio, oltre alla piccola gallina prataiola, non rara ai tempi e di cui il Carruccio ebbe anche due individui vivi, egli elenca un esemplare della grande otarda Otis tarda (Vulnerabile VU secondo le categorie IUCN), trovato nel 1832 sul Mercato di Roma, a oggi unico dato certo per il Lazio; un esemplare di ubara africana Chlamydotis undulata (vulnerabile VU a livello globale e quasi minacciata NT a livello europeo secondo le categorie IUCN) catturata dal Duca di Sermoneta a Campagnano intorno al 1870; infine almeno due esemplari di ubara asiatica Chlamydotis macqueeni (vulnerabile VU a livello globale e in pericolo critico CR a livello europeo secondo le categorie IUCN), di cui uno descritto da Diorio (come ubara africana C. undulata) nel 1859 e uno preso sempre nel 1859 sulla Via Claudia a nove miglia da Roma.
Insomma, questo lavoro ci offre uno spaccato di quello che doveva essere il prevalente habitat di steppa e pascoli della “campagna romana” a quei tempi e dell’eccezionale ricchezza di vita che la caratterizzava.
Secondo Toschi (1968) sono note solo sei catture di ubara africana in “Italia” (di cui una a Malta e una a Pantelleria) e cinque della ubara asiatica (oltre al Lazio, in Lombardia, Puglia e Sicilia).
Quali fattori biologici potrebbero spiegare questi fenomeni che le collezioni documentano? È possibile, per esempio, l'esistenza di un collegamento tra l'invasione di cavallette dall'Africa o dall'Oriente – flagello ben conosciuto storicamente – e l'arrivo di questi grandi uccelli esotici, ben conosciuti predatori di ortotteri? Un’ipotesi interessante che meriterebbe un approfondimento ma che dimostra la criticità delle collezioni per formulare teorie ed eventualmente trovare risposte soddisfacenti.
Dati oggettivi per valutare le dinamiche delle specie
L’interesse per l’ornitologia è stato non uniforme in Italia e possiamo sospettare che le Regioni interessate dalla presenza delle otarde fossero molte di più. Quei pochi reperti conservati nelle collezioni dei musei di storia naturale rappresentano quindi dei record di eccezionale importanza per analizzare con dati oggettivi l’evoluzione del popolamento animale di un territorio e l’impatto delle attività umane su di esso (l'autore ha già scritto su Hunting Log dell'importanza documentaria delle collezioni dei trofei di caccia, ndr). È però assai raro che questi eccezionali dati storici siano utilizzati nelle ricerche moderne, per esempio nei tanti progetti Atlante che interessano l’avifauna (e non solo) della Penisola.
Non è raro che la mancanza di questa dimensione storica nella ricerca favorisca una visione idilliaca dell’attuale situazione faunistica, al punto di promuovere slogan quali Roma capitale della biodiversità basati spesso sul mero numero di specie registrate ma senza un’analisi qualitativa – tanto che le specie “aliene” sono incluse nel computo senza commenti. Quando queste analisi qualitative vengono effettuate, emerge immediatamente come alcune specie più specializzate siano state sostituite da altre sinantropiche se non aliene (per i Mammiferi a Roma si veda Gippoliti & Amori, 2006). È quindi assai importante continuare a mantenere e studiare le collezioni naturalistiche pervenuteci da illuminati ornitologi e cacciatori.
Non a caso due zoologi italiani – Franco Andreone e Spartaco Gippoliti – si sono fatti promotori nel 2024 della nascita della prima rivista internazionale Natural History Collections and Museomics dedicata proprio a reinserire le collezioni naturalistiche al centro dell'attenzione del mondo della ricerca biologica.
Articolo concesso da Diana & Wilde / Edizioni Lucibello, maggio 2025
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