L’imminente declassamento del lupo pone una serie di interrogativi cui bisogna saper rispondere coerentemente per la sua corretta gestione
L’imminente declassamento del lupo pone una serie di interrogativi cui bisogna saper rispondere coerentemente per la sua corretta gestione - © Andrea Dal Pian
Pubblicato il in Conservazione
di Diana & Wilde

Lo stato di protezione del lupo tra passato, presente e futuro

Impariamo dagli errori del passato per ipotizzare una gestione efficace del lupo

di Massimo Camus e Piervittorio Stefanone

L’approccio al problema dei grandi carnivori (lupo e orso) può essere affrontato in svariati modi:

  • indifferenza assoluta derivata dal fatto che vi sono problemi ben più pressanti da risolvere;
  • integralismo puro con contrapposizioni manichee e scontri da tifoseria tra chi ritiene il lupo una specie totemica la cui ricomparsa ha sancito definitivamente il recupero ambientale dei nostri territori montani (e non solo) e chi, di contro, ritiene il carnivoro un animale dannoso che dev’essere combattuto, come lo è stato da generazioni dai nostri predecessori;
  • fonte di accaparramento di contributi europei;
  • sperimentazione più o meno etica;
  • conoscenza scientifica derivante dall’incremento delle conoscenze miranti all’adozione di criteri di gestione confortati da riscontri tecnici e non da prese di posizione umorali.

Il 2 dicembre 2024 a Strasburgo è stato approvato dal Comitato della Convenzione di Berna il downgrade del lupo, cioè il declassamento del suo status da “specie rigorosamente protetta” a “specie protetta”, non ritenendo più la specie in pericolo d’estinzione dopo 44 anni di protezione assoluta, stabilita dalla Convenzione di Berna del 1979. Il 16 aprile 2025, i rappresentanti degli Stati membri riuniti nel Coreper hanno approvato il mandato del Consiglio europeo per rivedere lo status di protezione del lupo a livello unionale al fine di allinearlo con la modifica apportata lo scorso dicembre alla Convenzione di Berna.

Negli ultimi anni, numerosi sono stati gli attacchi del predatore alle persone
Negli ultimi anni, numerosi sono stati gli attacchi del predatore alle persone - © Andrea Dal Pian

L'obiettivo è garantire agli Stati membri una maggiore flessibilità nella gestione delle popolazioni di lupo, coniugando esigenze di conservazione e tutela delle attività antropiche. La posizione espressa dal Consiglio europeo corrisponde alla proposta originale della Commissione. Con l’allineamento del Parlamento a Commissione e Consiglio, la modifica alla direttiva che sancisce lo stato di protezione del grande carnivoro sarà formalmente adottata e gli Stati membri avranno 18 mesi di tempo per recepire il nuovo status del lupo. A cascata, in Italia, si dovranno rivedere la legge 157/92 sulla caccia e, di conseguenza, le diverse leggi regionali e/o delle Provincie autonome; nel caso le predette leggi recepissero quanto stabilito a Strasburgo, si potrà definire annualmente il tasso massimo di prelievi della specie Canis lupus, tale da non pregiudicare il mantenimento di uno stato di conservazione soddisfacente.

La direttiva Habitat (1992)

A questo punto è necessaria una precisazione sui progetti che hanno permesso questo moltiplicarsi di predatori, partendo dalla Direttiva 92/43/Cee Habitat che aveva stabilito (1992) l’elenco delle specie di interesse comunitario che richiedevano una protezione rigorosa e, tra queste, il lupo. A corollario di questa Direttiva l’Unione Europea aveva predisposto un apposito strumento finanziario, definito LIFE Natura, finalizzato a sostenere economicamente i progetti indirizzati alla conservazione in loco delle specie animali necessitanti di tutela e ritenuti di interesse comunitario. In Italia ebbero quindi inizio i progetti LIFE Ursus UE e LIFE WolfAlps UE.

Questi progetti di conservazione e ripopolamento (per quanto riguarda l’orso) ebbero un notevole successo: ad esempio in Piemonte dai 3 branchi di lupi censiti nel 1996 si è giunti agli 81 branchi del 2021, ora ci sono tanti lupi quanti nell’intera Francia. In Italia i lupi sono 3.300 (Monitoraggio nazionale del lupo 2020/2021): un record di predatori e anche di... predazioni.

In alcuni Paesi, quali ad esempio la Finlandia, la Spagna, la Romania e altri, il lupo è stato inserito nell’allegato V della Direttiva Habitat che ne consente la caccia con opportune limitazioni, mentre in altri Paesi, tra cui l’Italia, il lupo è stato inserito nell’allegato IV che ne vieta il prelievo venatorio, se non in circostanze particolari, quali ad esempio la forte pressione predatoria generata da lupi problematici. Ḕ riconosciuta infatti la possibilità di applicare deroghe temporanee, secondo quanto espresso dall’articolo 16 della Direttiva, purché venga mantenuto uno stato di conservazione della specie “soddisfacente”.

Il medesimo articolo individua le condizioni alle quali uno Stato membro può derogare alle rigorose disposizioni in materia di protezione. Ricordiamone alcune: proteggere la fauna e la flora selvatiche e conservare gli habitat naturali; prevenire gravi danni, segnatamente alle colture, all'allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico e alle acque e ad altre forme di proprietà; nell'interesse della sanità e della sicurezza pubblica o altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, e motivi tali da comportare conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente. Italia e Portogallo non hanno mai applicato tale deroga.

Si evince quindi una notevole differenza sulla gestione della popolazione lupina presente nell’Unione Europea e la necessità che questa discrepanza venga ridotta se non annullata. Secondo la versione 2017 del Piano di gestione e conservazione del lupo in Italia, sulla quale si sta lavorando dal 2015, ma la cui approvazione non è ancora avvenuta, la popolazione lupina appenninica è ritenuta “soddisfacente” mentre quella alpina non lo è ancora.

Da qui il monitoraggio avviato nel 2020 dal Ministero dell’Ambiente, che ha dato mandato all’ISPRA per la sua realizzazione, con il coinvolgimento del Progetto WolfAlps-UE; da tale monitoraggio è emerso, come abbiamo scritto, che nel nostro Paese ci sono 3.300 lupi (dato sicuramente sottostimato), un numero che indica un primato in Europa. L’auspicabile declassamento dello status del lupo renderà possibile la gestione di questa specie: il lupo resterà un animale protetto, ma sarà nel contempo possibile il suo contenimento numerico previe severe misure di controllo. In Europa sono stati monitorati circa 20.300 lupi.

Gestione

La situazione circa la gestione del lupo in Europa appare piuttosto curiosa: in Italia, un Paese in cui vi è un “sovraffollamento” di predatori, non vi è alcuna forma di gestione e neppure il controllo dei soggetti problematici/pericolosi, a fronte di altri Paesi, ad esempio la Francia dove esiste un Piano d’azione nazionale 2018-2023 per lupi ed allevatori. In esso sono contenute le linee d’azione ritenute indispensabili per arrivare ad una “convivenza” tra carnivoro ed allevatore quali il supporto per le misure di protezione e la regolamentazione della popolazione. Il “piano lupo francese” consente, in virtù del parere favorevole di esperti, l’abbattimento del 10-12% della popolazione ogni anno. Così come la Francia, hanno fatto la Germania, la Norvegia, la Svezia, tutte nazioni con un numero di lupi inferiore all'Italia, grazie all’attuazione di una gestione ordinaria. Il paragone con la Svezia, dove i lupi sono 400, non è casuale perché rispecchia due situazioni agli antipodi: la Svezia possiede 145.000 Km² di territorio più del nostro, la popolazione è sei volte inferiore alla nostra e il rapporto abitanti/Km² è 10 volte inferiore al nostro, eppure ha 2.800 lupi meno dell’Italia.

L’atteso declassamento dello status di protezione del lupo da parte dell’Unione Europea dovrebbe permettere una modifica delle norme nazionali così da rendere più rapida ed efficace la gestione del carnivoro, piuttosto farraginosa in Italia rispetto a quella attuata in molti Paesi europei, più pragmatici e meno manichei del nostro. Ma cosa è accaduto nel nostro Paese che ha reso “difficoltoso” (eufemismo) la realizzazione della gestione del lupo?

La risposta a questa domanda è piuttosto semplice. Sono mancate:

  1. la volontà politica che si è lasciata sopraffare dall’arrogante espertocrazia,
  2. la conoscenza scientifica per poter gestire a lungo termine il lupo,
  3. la corretta comunicazione, mentre ve ne è stata una fuorviante che afferma che i lupi non sono pericolosi per l’uomo, che gli aiuti ai pastori come reti elettrificate e cani da guardiania favoriscono la convivenza tra il predatore e l’uomo (ma la protezione del gregge non significa di contro la gestione dei lupi) e che dopo le predazioni vi sono equi indennizzi (ricordiamo che sovente, invece, lo smaltimento della carcassa dell’animale predato è a carico dell’allevatore.

Volontà politica

I soggetti devoluti al “controllo della fauna selvatica” sono le Regioni. Attualmente le linee guida per tale controllo non esistono in quanto il vecchio Piano d’azione per la conservazione del Lupo, datato 2002 è scaduto nel 2015. Diverse Regioni, soprattutto del nord, avevano chiesto al Ministero dell’ambiente la deroga alla Direttiva Habitat per poter operare degli abbattimenti selettivi. Il Ministero aveva risposto negativamente sulla base di un parere dell’ISPRA che recitava: l’introduzione di programmi di controllo diretto del lupo in Italia pone complessi problemi biologici e tecnici e solleva profonde obiezioni di larga parte della società italiana.

il lupo, dal punto di vista dell’allevatore, rischia di diventare simbolo di un’epoca in cui tradizioni, diritti e interessi sono subordinati ai valori di una matrice di cultura essenzialmente urbana
il lupo, dal punto di vista dell’allevatore, rischia di diventare simbolo di un’epoca in cui tradizioni, diritti e interessi sono subordinati ai valori di una matrice di cultura essenzialmente urbana - © Andrea Dal Pian

Il professor Marco Apollonio, professore ordinario di Zoologia, presso il Dipartimento di Scienze della natura e del territorio dell’Università di Sassari, disse in un’intervista: «Se non arriveremo a gestire queste specie in modo realistico, ma continueremo a oscillare fra il protezionismo assoluto, non rivolto alla conservazione delle specie ma di ogni individuo, qualsiasi cosa faccia, e le velleitarie grida di sterminio assoluto che si infrangono sul primo ricorso di associazioni animaliste, assisteremo al crollo di ogni modello di convivenza possibile con queste specie». Parole sante.

Quale dunque potrebbe essere la via da intraprendere per iniziare a colmare questo baratro ideologico che ha portato da decenni alla paralisi della gestione consapevole della fauna selvatica in toto? Certo è un problema politico: bisognerebbe poter avvalerci di una legislazione pragmatica, attuale e non ideologica, che miri alla conservazione delle specie e, allo stesso tempo, consideri le eventuali criticità, implementando in maniera definitiva e netta gli strumenti gestionali necessari. L’attuale “gestione”, se così può essere definita la sua assenza, ha fatto sì che la politica, pur di soddisfare posizioni ideologiche anacronistiche, abbia addossato alla comunità spese incomprensibili.

Negli ultimi quarant’anni si è assistito ad un notevole incremento numerico della popolazione lupina. Esemplari si aggirano anche in contesti densamente antropizzati, persino alle porte di grandi città. Certamente le operazioni di recupero della specie Canis lupus lupus ha avuto un grande successo di conservazione e di diffusione come del resto gli esperti europei hanno evidenziato nel rapporto Assessment of the conservation status of the Wolf (Canis lupus) in Europe durante il 42° meeting di Strasburgo Convention on the conservation of european wildlife and natural habitats, il 2 settembre 2022. Questa situazione impone però irrinunciabili sfide gestionali, specie in relazione alla compatibilità con le attività antropiche. Considerato il numero di lupi presenti si evince che la specie non presenta più un precario stato di conservazione.

Comunicazione

I cosiddetti “esperti”, coloro che ritengono di possedere il verbo sulla gestione degli animali selvatici, indirizzano la politica che in effetti in questo settore non è in grado di fornire risposte adeguate. C’è la sostituzione della democrazia con l’espertocrazia. Sicuramente, questi esperti sanno utilizzare molto bene la comunicazione per convincere che il loro punto di vista sia l’unico giusto sulla questione.

Il peso di questa espertocrazia si fa sempre più determinante man mano che ci si allontana dal territorio, vale a dire, in questo caso, dalla montagna vissuta per arrivare alla montagna mordi e fuggi, intesa come luogo di ritrovati momenti di wilderness per animal-ambientalisti domenicali. A questi ultimi è indirizzata una comunicazione mirata a essere ritenuta l’unica fonte d’informazione, facendo sì che non si cerchino e non si ascoltino altre voci. Il risultato è, in ultima analisi, una disinformazione scientifica che tende a enfatizzare le notizie positive sui predatori lupo/orso più o meno veritiere come l’atteggiamento favorevole della popolazione riguardo la loro diffusione, la scarsa aggressività, la possibilità di convivenza eccetera. Di contro le notizie negative vengono minimizzate: predazioni su animali domestici, attacchi all’uomo, incidenti stradali. Succede così che opinioni non allineate con quelle di questi “esperti” sono considerate evidenti frutti di pregiudizi e ignoranza: guai mettere in dubbio il glorioso ritorno dei predatori e la loro rapida diffusione a fronte dei danni che arreca la loro eccessiva presenza!

Il tema degli abbattimenti deve essere affrontato con pragmaticità e senza integralismi, cosa assai difficile nel nostro Paese dove la questione lupo viene gestita più di pancia che di testa
Il tema degli abbattimenti deve essere affrontato con pragmaticità e senza integralismi, cosa assai difficile nel nostro Paese dove la questione lupo viene gestita più di pancia che di testa - © Andrea Dal Pian

In pratica, questa autocelebrazione di successi demografici viene indirizzata a una platea a cui, in fondo, nulla importa di talune attività antropiche quali l’allevamento, la pastorizia, l’apicoltura e la frutticoltura. C’è in tutto questo un fondo d’arroganza e una notevole tendenza all’integralismo che, miope verso più ampie realtà, è determinato a imporre la propria volontà. Si formano così elementi agguerriti di pressione che, di fronte a una classe politica poco interessata al problema, sono in grado di imporre le loro visioni e le loro strategie prevaricando gli interessi e le aspettative della comunità. In quest’ottica può succedere che orientamenti tecnico-scientifici avulsi dal contesto politico divengano atti vincolanti di natura politica. Si legittima a posteriori le decisioni di esperti e si ratificano situazioni di fatto spacciate per democrazia partecipativa. Nasce la politica dei fatti compiuti.

Consideriamo due caposaldi di questa comunicazione mirata:

PERICOLOSITÀ (il lupo non attacca l’uomo). Che il lupo possa dimostrare aggressività nei confronti dell’uomo è una verità inconfutabile, vedasi ad esempio il rapporto del NINA (Norsk Institutt for Naturforskinig) di Trondheim (Norvegia): The fear of wolves: A review of wolf attacks on humans, gennaio 2002. Ultimo in ordine di tempo: Patrick Pester: All it takes is a predator to learn that children are easier prey. Why India's 'wolf' attacks may not be what they seem Indian authorities believe wolves have killed 10 people in the Bahraich region of Uttar Pradesh in recent months, as fear and confusion grips local villages, 20 settembre 2024.

In Italia, un’esponente di un’associazione animalista ha dichiarato, in un’intervista televisiva, che «il lupo non attacca le persone da 300 anni». Forse ci si scorda dell’uomo azzannato da un lupo alla gola nel 1923 che, trasportato all'ospedale di Marradi, Mugello, vi morì. Ma diversi altri sono stati nel nostro Paese gli attacchi del predatore alle persone. Questo è un elenco dei più recenti attacchi non provocati:

  • un uomo attaccato da due lupi nel 2017 a Giaveno (nel Torinese): l'analisi del DNA effettuata da ISPRA ha confermato che si trattava di due lupi puri, fratelli;
  • una bambina attaccata e una donna ferita da un lupo nel 2020 a Otranto, Lecce (lupo infine catturato);
  • 15 persone attaccate nell'arco di dodici mesi (2022-2023) a Vasto e San Salvo (CH), con 13 persone finite in ospedale, inclusi due bambini di 4 anni azzannati e feriti (lupa pura con analisi del DNA di ISPRA, non socializzata, infine catturata);
  • un bambino attaccato e ferito da un lupo a Finale Ligure (SV) l'11 agosto 2024, salvato da altre persone (esemplare ancora libero);
  • un uomo attaccato e ferito da un lupo il 7 settembre 2024 a Casalbordino, Chieti (esemplare ancora libero, forse fratello o sorella della lupa di Vasto);
  • un bambino di 4 anni attaccato e ferito il 10 settembre 2024 a Roma da un lupo catturato due settimane dopo, anche lui puro e non socializzato;
  • un uomo, attaccato e ferito al braccio e testa da un lupo a Castellalto (TE) l'11 novembre 2024 (esemplare ancora libero);
  • un allevatore attaccato e ferito a una gamba vicino alla stalla da un lupo il 2 dicembre 2024 a Lastra a Signa (FI).

Questi esempi sono un sintomo eclatante di una comunicazione pilotata.

ATTIVITÀ ANTROPICHE. Questa situazione impone irrinunciabili sfide gestionali, specie in relazione alla compatibilità con le attività antropiche. Come affermano molti tecnici "illuminati", sicuramente il lupo, dal punto di vista dell’allevatore, rischia di diventare simbolo di un’epoca in cui le proprie tradizioni, diritti ed interessi sono subordinati ai valori di una matrice di cultura essenzialmente urbana. In quest’ottica, la predazione del lupo sul bestiame non rappresenta solo più una perdita economica ma alimenta tensioni sociali, in quanto sia per i danni diretti (animali predati), che per quelli indotti (aborti, perdita latte, spese di smaltimento carcasse) i risarcimenti sono tardivi ed economicamente inadeguati.

Le conoscenze scientifiche

Nell’immaginario collettivo urbano, ai grandi carnivori viene sovente data una valenza totemica non disgiunta dall’attribuzione di caratteristiche umane, violando o nella migliore delle ipotesi ignorando l’animalità insita in queste specie. Spendiamo due parole su questo concetto. Cos’è l’animalità? È l’insieme delle qualità proprie degli animali in contrapposizione a quelle spirituali dell’uomo. Bisogna conoscere le abitudini del carnivoro: fisiologia, riproduzione, alimentazione, malattie (infettive e parassitarie) in relazione anche al suo impatto con il territorio circostante, cercando di determinarne, per quanto possibile, il numero massimo sostenibile.

Considerazioni per una gestione seria

I giovani lupi in dispersione possono essere la causa di diffusione del fenomeno dell’ibridazione, una tra le più gravi minacce per la conservazione della specie lupo, così da ritenere necessaria la rimozione degli ibridi per evitarne la diffusione all’intera popolazione lupina. A titolo esemplificativo citiamo la relazione tecnica Il lupo in regione Piemonte 2020/21 del giugno 2022 a cura del Progetto LIFE WolfAlps - EU in cui viene segnalata la presenza di due branchi riproduttivi con ibridazione lupo-cane: una nell’alessandrino e una nel torinese, in Bassa Val Susa. Tuttavia, si legge che: “l’attuale strategia, che prevede la cattura dei soggetti presunti ibridi, la loro captivazione in attesa dell’esito delle analisi genetiche, la loro eventuale neutralizzazione riproduttiva, rappresenta una soluzione eccessivamente complessa, onerosa, non sostenibile a medio/lungo termine e quindi non efficace per affrontare adeguatamente il problema”.

Sulla base del censimento 2020/2021 l'ISPRA ha stabilito che la quota ammessa di prelievo in deroga sia tra il 3% e il 5% (tra 100 e 160 soggetti)
Sulla base del censimento 2020/2021 l'ISPRA ha stabilito che la quota ammessa di prelievo in deroga sia tra il 3% e il 5% (tra 100 e 160 soggetti) - © Andrea Dal Pian

Dopo pochi giorni sul web viene pubblicato un articolo intitolato Primo ibrido lupo-cane in Piemonte catturato, sterilizzato e liberato... un successo! Alla faccia della Convenzione di Berna (Raccomandazione UE n° 173/2014) che esorta gli Stati membri, Italia compresa, a prevenire l’ibridazione lupo-cane ricorrendo alla rimozione degli individui ibridi dal contesto naturale. Ciò perché l’introduzione di geni non adattivi nella popolazione selvatica modifica l’identità genetica e, di conseguenza, la morfologia, il comportamento e gli adattamenti sociali della specie. È noto che un esemplare ibrido lupo-cane tende a comportarsi come un lupo, soprattutto se cresciuto in branco, ma allo stesso tempo il patrimonio genetico del cane che è in lui lo porta a essere meno diffidente nei confronti dell’uomo. Diventa quindi un lupo confidente, un selvatico più propenso ad avvicinarsi ai contesti urbani e al bestiame, con tutte le conseguenze e i pericoli del caso.

Evitiamo, a questo punto, di sperperare denaro pubblico in “progetti” inutili e costosi e focalizziamo invece la nostra attenzione su una gestione seria dei grandi carnivori che stenta ad essere attuata, ma che è sempre più indispensabile e pressante. La conservazione di una specie ritenuta sino a poco tempo fa in via d’estinzione e che ora si rivela un invasore biologico, impone, almeno eticamente, la progettazione di strategie volte a raggiungere, due obiettivi principali:
⦁ la conservazione della specie lupo;
⦁ la salvaguardia delle attività antropiche (allevamento) e della sicurezza pubblica.

Un esempio di gestione sostenibile

Va da sé che anche il problema abbattimento deve essere affrontato con pragmaticità e senza integralismi, cosa assai difficile nel nostro Paese dove la questione lupo viene gestita più di pancia che di testa. Proviamo a ipotizzare quello che potrebbe essere un esempio di gestione sostenibile.

Il monitoraggio è importantissimo perché da lì discende il numero di lupi presente sul territorio rispetto al numero che ogni Regione è in grado di sostenere.

Rimozione dei soggetti ibridi e lotta al randagismo sono due delle problematiche che andrebbero affrontate di pari passo. La proliferazione incontrollata di grandi carnivori provocherà, prima o poi, gravi problematiche a vari livelli: sociale, economico, etologico, zoologico, sanitario e soprattutto politico. Sarà necessaria la rimozione di alcuni subadulti/adulti, con l’ovvia esclusione dei soggetti alpha, per ristabilire un numero accettabile di predatori. La scelta dovrebbe ricadere principalmente sui lupi confidenti e in seconda battuta sugli artefici di predazioni importanti ai danni del bestiame domestico. Quindi la gestione dei lupi potrebbe prevedere un protocollo simile a quello proposto nel maggio 2003 da uno studio franco-americano dal titolo Conservation and control strategies for the wolf (Canis lupus) in western Europe based on demographic models. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di pianificare le rimozioni del carnivoro per ridurre le predazioni sul bestiame domestico garantendo, allo stesso tempo, la vitalità della popolazione lupo. Per far ciò sono stati utilizzati modelli di popolazione strutturati in fasi stocastiche per studiare le dinamiche della popolazione di lupi e valutare strategie gestionali alternative.

La proliferazione incontrollata di grandi carnivori provocherà, prima o poi, gravi problematiche a vari livelli: sociale, economico, etologico, zoologico, sanitario e soprattutto politico
La proliferazione incontrollata di grandi carnivori provocherà, prima o poi, gravi problematiche a vari livelli: sociale, economico, etologico, zoologico, sanitario e soprattutto politico - © Andrea Dal Pian

Anche ISPRA dovrà affrontare il problema lupi con maggiore pragmaticità e non solo elargendo pareri che il più delle volte si rivelano impraticabili o tardivi (vedi anche gestione orsa JJ4). Se si è parlato di inettitudine politica non possiamo lasciar passare inosservato l’inadeguato tentativo dell’ISPRA di salvare capre e cavoli: aumento incontrollato senza alcuna forma di gestione del lupo da un lato, dall’altro il tentativo di controllo sulle scelte che il downgrade del predatore permetterà d’attuare.

Su Il Dolomiti del 18 febbraio 2025 leggiamo un articolo a dir poco sorprendente: Lupi, svolta di gestione. Quote massime di abbattimento per Regione ma solo con politiche di prevenzione. Siamo alla solita comunicazione da espertocrazia con black hole piuttosto evidenti. Si parla delle deroghe previste dall’articolo 16 della Direttiva Habitat, per altro mai richiesta nel nostro Paese fino all’anno scorso quando il Trentino e l’Alto Adige ne chiesero l’attuazione. A questo punto il Ministero dell’Ambiente, in affanno, ha richiesto all’ISPRA di emanare linee guida che consentiranno a Regioni e Province autonome di procedere con abbattimenti in deroga per lupi confidenti, pericolosi o responsabili di attacchi reiterati agli allevamenti, anche in considerazione del fatto che il Piano d’azione nazionale è quiescente in qualche cassetto dal 2015; l’Istituto si è dato subito da fare per stabilire una quota massima di prelievi basandosi sui dati del censimento effettuato nel 2021.

Inutile ricordate che i dati sono un po’ obsoleti poiché nel 2025 il numero di lupi in Italia è sicuramente aumentato. Ma sorvoliamo su questo “particolare insignificante”: se nel 2021 in Italia vi erano 3.300 lupi (dato sottostimato), l'ISPRA ha stabilito che la quota ammessa di prelievo in deroga sia tra il 3% e il 5% (tra 100 e 160 soggetti). Pertanto, a ogni Regione sarà assegnato il suo personalissimo numero di prelievi. Si legge che per il Piemonte, che nel 2021 aveva circa 450 lupi, la quota assegnata, stabilita in base alla effettiva consistenza territoriale, è di 10-17 lupi che porterà a una popolazione di 433 selvatici. Ma che differenza farà mai sulle predazioni, sui lupi confidenti, sugli ibridi lupo-cane? Praticamente nessuna: sarebbe ora che, invece di parlare al vento, si introducesse in questo Paese un progetto serio di gestione da attuarsi quando la specie Canis lupus perdesse, anche da noi, lo status di rigorosamente protetto.

Una gestione in sei fasi

Immaginiamo allora uno schema possibile di gestione che venga realizzato in sei step:

  • MONITORAGGIO: individuazione delle Unità Riproduttive sul territorio nazionale suddiviso per Regioni, effettuato da personale "laico" e affidabile;
  • STUDIO DI FATTIBILITÀ: analisi delle criticità, impatto sulle attività antropiche (predazioni), sicurezza, accettazione popolazione (cin sondaggi), impatto ambientale, incidenza su turismo, spese di realizzazione, impiego personale.
  • INDIVIDUAZIONE DEL NUMERO MASSIMO DI LUPI SOSTENIBILE: espresso in Unità Riproduttive in ambito regionale. Considerare anche il problema dei lupi confidenti e quello degli ibridi lupo-cane, che dovrebbero essere abbattuti.
  • PRELIEVO: viene calcolata la differenza tra il numero dei lupi presunti dal monitoraggio e il numero dei lupi calcolato sostenibile. Tale differenza rappresenta il numero del prelievo di lupi da attuarsi in un plausibile arco di tempo (4-5 anni durante i quali il monitoraggio continua). Vengono prelevati lupi adulti e/o subadulti risparmiando coppia alpha e nati dell’anno. Definizione delle modalità di abbattimento.
  • GESTIONE ADATTIVA. Per il mantenimento del numero massimo di lupi sostenibile ci si potrebbe avvalere dello studio franco-americano del maggio 2003 Conservation and control strategies for the wolf (Canis lupus) in western Europe based on demografic model. Lo scopo di questo lavoro, definito come gestione adattiva, è stato quello di pianificare la rimozione del carnivoro per ridurre le predazioni sul bestiame domestico garantendo, nel contempo, la vitalità della popolazione lupo. Si è appurato che una popolazione di lupi in crescita potrebbe sostenere le rimozioni annuali di una percentuale moderata della popolazione (10%) ogni volta che questa è cresciuta di oltre il 5% nell’anno precedente. Questa forma di gestione fornirebbe azioni visibili per affrontare le preoccupazioni pubbliche, mantenendo bassa la possibilità d’estinzione della specie lupo. Qualora la crescita della popolazione di lupi dovesse rilevarsi inferiore al 5% (tramite l’azione di monitoraggio) si sospenderebbero le rimozioni. Ovviamente il monitoraggio deve continuare con cadenza annuale.
  • COMUNICAZIONE: è necessaria una corretta e trasparente comunicazione con la popolazione del territorio interessata, con cadenza annuale; un Rapporto sulla gestione lupo che dev’essere facilmente comprensibile con dati chiari ed evidenziando le finalità e gli obbiettivi che ci si prefigge raggiungere nelle diverse realtà regionali.

Se questa gestione (o qualsiasi altra) fosse stata messa in atto quando il numero delle unità riproduttive del carnivoro era meno consistente, gli abbattimenti sarebbero stati meno numerosi e dolorosi; purtroppo, invece, s’è preferito perseguire la politica da collezionisti di grandi carnivori (vedasi il caso degli orsi in Trentino) invece di quella suggerita da chiare linee scientifiche.

Articolo concesso da Diana & Wilde / Edizioni Lucibello, maggio 2025

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