Applicare ai fagiani copribecchi di plastica equivarrebbe a maltrattarli
Applicare ai fagiani copribecchi di plastica equivarrebbe a maltrattarli - © Lewis Clarke
Pubblicato il in Attualità
di Andrea Reversi

Maltrattamento di fagiani, la nuova frontiera degli anticaccia

La prassi di dotare gli animali di copribecchi configurerebbe il reato di maltrattamento

In provincia di Mantova, ben 15mila fagiani presenti in un allevamento sono stati posti sotto sequestro a seguito dell'intervento degli uomini del Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari, i cosiddetti Carabinieri forestali, che hanno ravvisato gli estremi per denunciare il titolare per maltrattamento. Alla base della denuncia, la pratica, che è la prassi nella quasi totalità degli allevamenti, di applicare ai fagiani copribecchi di plastica forandone il naso al fine di scongiurare le conseguenze di comportamenti aggressivi tra gli animali. I fagiani avrebbero dovuto essere destinati alle attività di ripopolamento messe in campo da diversi Atc in vista della prossima stagione venatoria.

Secondo i militari del Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale di Mantova, tale pratica configurerebbe la fattispecie penale di "maltrattamento di animali". Non intendiamo discutere in questa sede il concetto stesso di maltrattamento e di benessere animale, ma viene da chiedersi come una pratica universalmente diffusa e conosciuta possa sfociare in una denuncia e come il deferimento all'autorità giudiziaria possa avvenire a seguito di un sopralluogo di un'unita dei Carabinieri i cui appartenenti dovrebbero ben conoscere simili realtà. Basti pensare che le modalità di applicazione dei copribecchi, "applicati senza anestesia in grado di causare una lesione permanente", sono identiche a quelle di apposizione delle marche auricolari ai bovini, per i quali è obbligatorio apporne ben due, una per orecchio.

Il fatto che la provincia di Mantova non sia nuova a un simile accadimento, un'analoga vicenda si era già verificata nel 2022, e che in tali occasioni siano stati diffusi comunicati stampa pressoché identici, fa pensare a una "regia" che va oltre l'ordinario ed encomiabile lavoro dei militari dell'Arma. Una metodologia che nel caso dei fagiani ha visto la collaborazione di "un veterinario nominato ausiliario di Polizia giudiziaria e specializzato in Etologia applicata e benessere animale", che fa subito pensare all'azione di altri reparti dei Carabinieri che hanno terrorizzato i capannisti delle valli bresciane con contestazioni penali che, nella maggior parte dei casi, non hanno portato a nessuna condanna e il cui operato è stato al centro del dibattito politico dei mesi scorsi.

Chi scrive non è sicuramente un supporter del pronta caccia, anzi, ma, se ad essere messo in discussione è il concetto stesso di allevamento di selvaggina finalizzato all'attività di ripopolamento pronta caccia, e se per farlo si trova la sponda di alcuni appartenenti alle forze dell'ordine, vien da pensare che forse abbiano ragione quelle frange estreme del mondo venatorio che hanno invocato e in parte ottenuto la delegittimazione e il depotenziamento delle attività di vigilanza e controllo.

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