I mondo venatorio svedese si è dimostrato all'altezza del compito affidatogli
I mondo venatorio svedese si è dimostrato all'altezza del compito affidatogli - © Face
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di Redazione

Peste suina, in Svezia sconfitto il virus in appena un anno

In Svezia la malattia è stata dichiarata eradicata dopo solo 12 mesi. Un risultato raggiunto anche grazie al contributo del mondo venatorio

In Svezia la peste suina è stata dichiarata eradicata dopo appena un anno da quando la malattia è stata rilevata per la prima volta in un cinghiale morto nella contea di Västmanland. La chiave del successo è in buona parte da ricercare nella mobilitazione del mondo venatorio, in particolare nelle attività di monitoraggio e di ricerca delle carcasse, e quanto accaduto nel paese scandinavo si presta a essere usato come paragone rispetto ad altre realtà dove il contrasto alla malattia procede con maggiore fatica.

Fin dai primi momenti dell'epidemia il mondo venatorio si è messo fattivamente a disposizione delle istituzioni. L'Associazione svedese per la caccia e la gestione della fauna selvatica ha lavorato senza sosta da quando la malattia è stata individuata sul territorio nazionale ed è addirittura stata incaricata quale responsabile della ricerca delle carcasse e del contenimento dei cinghiali.

Se da una parte le autorità hanno scelto di far affidamento sul mondo venatorio, dall'altra i cacciatori si sono dimostrati all'altezza del compito affidatogli. Anziché contestare il posizionamento delle recinzioni, per esempio, il mondo venatorio ha collaborato nell'individuare i tracciati migliori sulla base della propria conoscenza delle popolazioni di cinghiali e sotto il profilo del depopolamento i cacciatori sono messi a disposizione testando vari strumenti e metodi di abbattimento al fine di individuare quelli maggiormente efficienti. Il coinvolgimento del mondo venatorio, che in Svezia gode della fiducia dei cittadini, ha inoltre giocato un ruolo chiave nell'accettazione delle misure di contrasto alla malattia da parte della popolazione.

Se pensiamo a quanto accaduto nel nostro Paese, per quanto le condizioni di base siano profondamente diverse, appare evidente come il mondo venatorio non abbia saputo cogliere le opportunità offerte dalla comparsa della malattia. In termini generali il cacciatore medio non ha mai condiviso le strategie di contrasto al virus che passano forzatamente per il depopolamento della specie e, laddove si è detto disposto a collaborare, lo ha fatto pensando principalmente di trovare un modo per praticare la propria passione con un approccio egoistico. Ovviamente non è possibile fare di tutta l'erba un fascio, è innegabile però che il mondo venatorio italiano abbia dimostrato una immaturità che non solo non ha giovato alla lotta contro la malattia, ma che pare destinata a ritorcerglisi conto.

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