La copertina della pubblicazione di presentazione della ricerca
La copertina della pubblicazione di presentazione della ricerca - © Federcaccia - Nomisma
Pubblicato il in Caccia responsabile
di Matteo Brogi

8,5 miliardi di euro: tanto vale la caccia secondo Nomisma

Gli effetti economici, ambientali e sociali della caccia sono già importanti e c'è un potenziale per incrementarli in maniera considerevole. Ma permane un deficit di credibilità nei confronti dei cacciatori. Questo è quanto emerge dallo studio che Federcaccia ha commissionato alla società indipendente Nomisma

Ieri, 14 marzo 2023, Federcaccia e Nomisma hanno presentato lo studio Il valore dell'attività venatoria in Italia che l'associazione venatoria ha commissionato alla società indipendente specializzata in ricerche di mercato.

La ricerca (la versione estesa può essere scaricata da questo link) è stata sviluppata partendo dalla necessità di individuare le possibili prospettive di sviluppo del comparto in un'ottica di maggiore sostenibilità, ma anche di quantificare gli effetti economici, sociali e ambientali generati dall'attività venatoria nella nostra Nazione. Massimo Buconi, presidente Federcaccia, nel suo intervento introduttivo ha dichiarato che «Abbiamo deciso di affidare a Nomisma un primo bilancio ambientale dell'attività venatoria in Italia al fine di misurare il reale valore generato per comunità e ambiente e indagare il percepito delle famiglie italiane sul nostro operato. Siamo certi che favorire una migliore comprensione delle dinamiche che regolano i rapporti tra caccia e società possa concorrere a un giusto riconoscimento del nostro ruolo e della nostra attività, alla luce degli effetti positivi derivanti da una caccia etica e sostenibile».

Nel corso della presentazione - presso il Senato della Repubblica, nella sede di Palazzo della Minerva - Buconi ha evidenziato la ferma intenzione di chiudere la stagione degli scontri ideologici e di trovare soluzioni che tengano conto di tutte le sensibilità. Anche quelle ambientaliste, come dimostra la presenza di Wwf e Legambiente tra gli stakeholder chiamati a dare il proprio contributo allo studio.

La lista parziale degli stakeholder consultati per le interviste
La lista parziale degli stakeholder consultati per le interviste - © Federcaccia - Nomisma

La sede istituzionale che ha ospitato l'evento, ha sostenuto Buconi, è indicativa di un metodo di lavoro che prevede l'intervento delle Istituzioni come attore fondamentale per comporre le divergenze tra le parti sociali in qualche modo interessate al tema della caccia. Gli ha fatto eco Patrizio Giacomo La Pietra (sottosegretario per l'Agricoltura, la sovranità alimentare e le foreste), che ha evidenziato come ci sia consapevolezza che la politica deve intervenire in questo settore. Di più, ha sostenuto che c'è «la volontà di metterci la faccia, indipendentemente dalle posizioni ideologiche e dal consenso che può portare».

«Per gestire bisogna conoscere», ha concluso il presidente Fidc: «Siamo un fenomeno complesso, muoviamo ingenti risorse economiche, alcune evidenti, altre meno che affidiamo alla ricerca per metterle in evidenza. Nostro scopo è gettare il sasso e fornire una chiave di interpretazione differente». Lo studio rappresenta un primo passo cui Federcaccia vuole dare continuità.

Il valore dell'attività venatoria in Italia nel 2023

Partiamo dai numeri, sicuramente il dato più immediato da comprendere. Le informazioni raccolte nel corso della ricerca di mercato permettono di quantificare in 8 miliardi e 481 milioni di euro l'impronta positiva complessiva dell'attività venatoria in Italia. Nel dettaglio, questo valore è composto da più componenti:

valore naturale generato dalla caccia: 708 milioni
(393 milioni di valore è generato dal mantenimento delle aree umide, 315 milioni dal mantenimento degli habitat nelle Afv)
minori danni all'agricoltura: 20 milioni
(come risarcimenti agli agricoltori e spese di prevenzione da parte degli Atc)
riduzione dell'impronta ecologica: 13 milioni
(tramite consumo della carne di selvaggina cacciata)
riduzione dell'impronta idrica: 62 milioni
(tramite consumo della carne di selvaggina cacciata)
riduzione del danno sanitario: 124 milioni
(minori ospedalizzazioni per consumo delle carni non da allevamento e danni evitati per incidenti con specie selvatiche)
valore sociale: 0,6 milioni
(valore occupazionale generato da iniziative ambientali, iniziative di gestione faunistica e di sorveglianza sanitaria)
valore economico: 7.553 milioni
(1.711milioni dal settore armiero, 5.801 milioni dalla domanda di prodotti e servizi per l'attività venatoria, 41 milioni dall'autoconsumo di selvaggina)

La percezione della caccia e dei cacciatori

Una parte dello studio è stata finalizzata a definire la percezione dei consumatori italiani nei confronti della selvaggina, partendo da un'indagine sui consumi. Tra i 45 milioni di maggiorenni che si nutrono di carne (il 90% della popolazione adulta), il 62% consuma anche selvaggina, prevalentemente fuori casa; il 51% si dichiara pronto ad acquistarla se fosse di più facile reperibilità in virtù del fatto, tra gli altri, che presenta meno rischi per la salute (72%).

La lettura delle interviste condotte da Nomisma mette in luce alcuni aspetti che devono essere attentamente presi in considerazione. Alla domanda "Quanto è favorevole alla caccia esercitata nel rispetto delle norme vigenti", è risultato che gli italiani sono

18% favorevoli
23% mediamente favorevoli
16% mediamente contrari
32% fortemente contrari
11% non hanno un'opinione

Favorevoli o contrari alla caccia?
Favorevoli o contrari alla caccia? - © Federcaccia - Nomisma

I favorevoli non rappresentano la maggioranza della popolazione (e già lo sapevamo), ma maggioranza non sono neppure i contrari. A sostenere un dato che potrebbe essere migliorato, va segnalato che il 66% degli intervistati si ritiene "poco informato" sulla caccia in generale e sulle leggi che il cacciatore deve rispettare. Le risposte indicano che l'attività venatoria è considerata accettabile se praticata nel rispetto delle norme (27%), utile per equilibrare le specie (9%) e presidiare il territorio (8%). I contrari, invece, ritengono che si tratti di un'attività violenta esercitata su esseri indifesi (24%), pericolosa (14%) e invasiva per l'ambiente (7%). Al di là di una logica polarizzazione del pensiero, spicca l'assoluta mancanza di consapevolezza di quanto l'attività venatoria possa contribuire alle esigenze dell'ambiente.

Ma veniamo alla percezione del cacciatore. Se il giudizio sulla caccia è divisivo ma distingue due blocchi che sostanzialmente si equivalgono, ben diverso è il giudizio sul cacciatore, visto come una figura poco rispettosa delle leggi e delle regole, poco interessato alla biodiversità se non in funzione del proprio egoistico interesse, passivo nel contrasto del fenomeno del bracconaggio. Su questo aspetto Ettore Prandini (presidente Coldiretti) ha dichiarato che la demonizzazione del cacciatore si è portato dietro la perdita dell'unica sentinella del degrado e del dissesto idro-geologico. Un aspetto, quindi, su cui lavorare.

La slide che pone l'attenzione sulla riduzione dell'impronta ecologica generata dalla caccia in riferimento al consumo di carne di selvaggina
La slide che pone l'attenzione sulla riduzione dell'impronta ecologica generata dalla caccia in riferimento al consumo di carne di selvaggina - © Federcaccia - Nomisma

Opportunità riconosciute e aspetti da migliorare

Le interviste evidenziano potenzialità e opportunità riconosciute alla caccia:

  • il sostegno di una caccia "etica", rispettosa dei regolamenti e attiva nel contenimento delle attività illegali (in questo senso si è espresso anche il Wwf);
  • il potenziamento del ruolo ambientale del cacciatore puntando su formazione, responsabilizzazione e progettualità condivise con gli altri attori coinvolti;
  • la sensibilizzazione della popolazione sul ruolo sociale e ambientale del cacciatore;
  • il contenimento degli impatti ambientali dell'attività venatoria;
  • l'importanza della filiera selvatica;
  • la creazione di un sistema di convenienza con l'agricoltore.

I detrattori della caccia evidenziano:
  • la responsabilità dei cacciatori nella creazione dell'emergenza cinghiali e nell'alterazione della biodiversità;
  • la ricerca della disponibilità della selvaggina più che il suo controllo;
  • lo scarso impatto nel contenimento dei danni all'agricoltura;
  • l'inefficacia dei metodi di caccia (braccata) che, alterando l'organizzazione dei branchi, determina sovrannumero e avvicinamento del cinghiale alle aree urbane;
  • l'impossibilità di considerare la filiera selvatica quale reale alternativa alla carne da allevamento;
  • la scarsa sensibilità ambientale dei cacciatori.

Margini di crescita

Niente di nuovo? Non direi. La ricerca ha evidenziato criticità ben note agli addetti ai lavori ma ha il pregio di una totale indipendenza e terzietà. Piero Genovesi (responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica di Ispra), ha espresso l'auspicio che questo studio sia l'inizio di un impegno, necessario per restituire successive fotografie di un campo molto dinamico e plastico. Ispra, sostiene Genovesi, «è pronta a dare il suo contributo per una caccia sostenibile nel contesto di norme certe». A Ispra, per inciso, Buconi ha chiesto quella "neutralità istituzionale" che il mondo venatorio fatica a riconoscerle.

Sul tema delle norme si è espresso anche Antonino Morabito (responsabile nazionale fauna e benessere animale di Legambiente), che ha sostenuto come la prima battaglia di cui deve farsi carico il mondo venatorio è di «mettere fuori gioco l'illegalità»; il rispetto delle regole porta a una maggiore considerazione e anche Legambiente, secondo il suo presidente, è disponibile a un lavoro comune su più temi.

Il metodo di ricerca ha evidenziato un valore importante dell'attività venatoria e l'ha fatto considerando i valori minimi (quindi certi) delle forchette restituite dalle elaborazioni statistiche; i valori massimi già dimostrano un potenziale di crescita che ci permette un certo ottimismo sul futuro.

Un progetto meritorio che richiede continuità

«Per la prima volta il sistema della caccia - ha dichiarato Marco Marcatili, responsabile Sviluppo di Nomisma - decide di aprirsi alla società, ascoltare la comunità e avviare un dialogo aperto e trasparente con il mondo istituzionale, agricolo e ambientale. Il lavoro di Nomisma è, da un lato, rassicurante perché conferma la non ostilità alla caccia, anzi una inedita apertura della comunità a inserire più selvaggina sostenibile nella propria alimentazione; dall'altro lato, però, induce la Federazione italiana della caccia a una responsabilità aumentata in termini di maggiore informazione e disponibilità alla caccia etica e sostenibile».

Il contributo dato dalla caccia è significativo. Quello che traspare è che può esserlo in quantità molto maggiore ma è necessario, come hanno sottolineato molti degli interventi, una rinnovata formazione del cacciatore e un cambio di passo nella comunicazione di quanto possa fare per il bene comune.

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