
di Diana & Wilde
Caccia con il cane da ferma: il pointer da montagna
Il pointer da montagna deve essere un soggetto particolarmente equilibrato, in cui la velocità è governata dalla funzione olfattiva e non viceversa
di Edoardo Siniscalchi
Intervista a Vincenzo Di Gialluca, profondo conoscitore della caccia e della cinofilia, una vera e propria istituzione vivente nel mondo del pointer da montagna. A lui l’autore ha posto alcune domande su questa razza e a lui è stato chiesto un parere sullo stato attuale della razza per poi capire insieme quale futuro l’attende.
Avvocato Di Gialluca cosa ci dice del pointer da montagna e come lo inquadrerebbe oggi?
Ritengo che ogni razza da ferma abbia le proprie straordinarie qualità e a mio avviso il pointer, per azione, dinamismo, coraggio, tempra e qualità del piede, è certamente la soluzione più efficace per contenere lo strapotere della montagna. Il pointer in montagna dovrà avere un galoppo ben allungato, rotondo e redditizio, altamente suggestivo, bello da vedere. Solo un galoppo armonioso, energico ma non irruente potrà preservargli il piede anche quando questo è ben conformato.
Quando il pointer corre dietro al naso in montagna, come dovrebbe sempre essere, per le altre razze è estremamente difficile poter competere. Oggi ci sono tanti bravissimi pointer cacciatori nei quali la funzione olfattiva viene enfatizzata come deve essere per un autentico re del vento. Il pointer quando ha il necessario temperamento e viene ben alimentato non ha timore né del freddo né della pioggia e, tantomeno, di cacciare tra la folta vegetazione. Quando in montagna il pointer caccia con la sua tipica andatura, governata da un cervello al servizio del naso e del cacciatore, è incomparabile.
Come dovrebbe svilupparsi la cerca in montagna?
In generale l’ampiezza della cerca dovrebbe essere rapportata alla selvaggina e all’habitat. Per citare il grande Giulio Colombo: ampia e panoramica su terreni aperti, analitica, minuziosa, particolareggiata quando si svolge su terreni poco agevoli e cespugliati. In montagna, quando una sola famiglia di coturnici vive in un areale che copre, in genere, un intero versante, ci vogliono ausiliari dotati di un’andatura sostenuta sulle lunghissime distanze e di una cerca vastissima svolta a monte e a valle trasversalmente per cercare di tenere il filo del vento. È da incompetenti pretendere che il cane si inerpichi semplicemente lungo i canaloni sviluppando una sorta di “saliscendi” perché, così facendo, spenderà solo energie, la cerca non sarà idonea al reperimento del selvatico e il vento non sarà mai sfruttato al meglio delle possibilità.
La famiglia di coturnici, dopo aver salutato il nuovo giorno dai luoghi di rimessa, salirà sempre verso i siti di pastura, soprattutto a stagione autunnale inoltrata quando gli armenti sono scesi a valle e i falchi sono oramai migrati, per cui il modo migliore per reperirla da parte del nostro amico è di tagliare trasversalmente la montagna per intercettare la passata del branco o quest’ultimo direttamente.
Ovviamente, questo non esclude che l’ausiliare evada saltuariamente da tale ottimale metodo di cerca per investigare un “posto buono” palesando familiarità con ambiente e selvatico. In merito all’ampiezza della cerca, solo chi non ha mai cacciato coturnici in terreni liberi può ritenere, erroneamente, che il cane da utilizzare sia quello che svolge una cerca dettagliata a 100 metri dal conduttore. In questi casi, con un ausiliare di mezzi modesti, solo per investigare qualche canalone occorrerà un’intera giornata di caccia. Come diceva il grande Enrico Oddo, in montagna la cerca ridotta va a scapito del carniere e della stessa dignità del cane. Le grandi aperture in montagna non sono mai un problema. Aggiungasi, per andare sul concreto, che, quando le coturnici sono frequentemente disturbate e si rifugiano in terreni a loro non abituali, il loro reperimento con cani privi di coraggio e personalità diventerà estremamente difficoltoso.
Il problema, pertanto, non sarà mai l’ampiezza della cerca, che un cane con la giusta centralina rapporterà alla natura del terreno, ma il collegamento che l’ausiliare dovrà avere con il cacciatore. Questo non significa rientri tra i piedi ma costante riferimento alla posizione del conduttore. Per questo occorrerà una sintonia con il proprio cane che si potrà ottenere con un doveroso addestramento in cortile e, soprattutto, con la frequentazione giornaliera. Questo eviterà urla e uso improprio del fischietto. In montagna il silenzio è d’oro.
Qual è la sua opinione a proposito di stile e venaticità?
Lo stile, in generale, è il modo abituale di esprimersi e di comportarsi di un singolo o di un gruppo determinato. Nella cinofilia venatoria lo stile non è sinonimo di eleganza e distinzione, ovvero di mera valutazione estetica, ma la peculiare modalità di adempiere alla funzione di reperimento del selvatico e di contatto con il medesimo. Lo stile è il marchio di fabbrica di ciascuna razza, l’amalgama tra costruzione anatomica e psiche. Lo stile di razza dovrebbe sempre governare l’azione di ogni singolo soggetto appartenente a quel determinato “gruppo”.
La venaticità dovrebbe essere patrimonio comune a tutte le razze da caccia ma, purtroppo, non è sempre così a causa di una selezione/manipolazione d’impronta più sportiva ed effimera che venatoria.
Per il cinegeta, stile e venaticità sono imprescindibili nell’azione di caccia, poiché l’occhio vuole la sua parte ma il carniere, oggi da intendersi come doverosa finalizzazione dell’azione dell’ausiliare, non deve restare vuoto. Senza stile non c’è razza ma senza venaticità non c’è cane da caccia.
Oggi nella cinofilia venatoria le prove su coppie vengono ritenute un minus rispetto a quelle su branchi, cosa ne pensa?
Ritengo anche le coppie estremamente probanti per misurare le qualità venatorie di un ausiliare in termini di discernimento e, quindi, capacità di dipanare il quesito olfattivo con la dovuta classe. È indubbio che le coppie appaiano, prima facie, più restie a involarsi ma questo ritengo non sia dovuto al fatto che sono più confidenti bensì alla forte remora ad allontanarsi dal sito scelto per la nidificazione. E, allora, in tale periodo optano quasi sempre per sottrarsi di pedina ponendo in atto tenaci strategie difensive che possono mettere in grave difficoltà l’ausiliare. È proprio in questi casi che può notarsi la differenza tra il fuoriclasse e il mestierante, tra il cane dotato di potenza olfattiva, discernimento ed equilibrio e quello fornito di mezzi modesti.
Facevo qualche tempo fa, per l’ennesima volta, questa riflessione nell’assistere al diverso atteggiamento di due giovani pointer a contatto con una ostica coppia di coturnici che si sottraeva velocemente di pedina in un ambiente estremamente severo costituito da rocce, ginepri e pietraie. L’uno a testa alta con grande equilibrio e discernimento manteneva il collegamento olfattivo con la coppia senza indugi mentre l’altro, più nervoso e meno dotato, si affannava a ricercare il filo conduttore dell’emanazione sul terreno.
Risultato: il primo con una decisa guidata costringeva la coppia a desistere dal pedinare, ad appiattarsi sul terreno e ad involarsi all’arrivo del conduttore mentre l’altro, gravemente attardato in censurabili fasi di dettaglio, neppure si accorgeva del frullo. Questo è uno dei tanti motivi per il quale ho sempre ritenuto fondamentale il confronto dei nostri ausiliari sul terreno di caccia, ovviamente con selvatici autentici. Invero spesso certi censurabili atteggiamenti dell’ausiliare nel contatto con il selvatico non sono frutto di difficili circostanze ambientali ma esclusivamente della sua mediocre qualità.
Cosa pensa della supremazia della funzione olfattiva?
Un cane da ferma, soprattutto se caccia con il cervello, sa perfettamente come modulare l’andatura in rapporto all’ambiente, al selvatico e alle specifiche circostanze del momento. Il cane che caccia in assoluta concentrazione e, ovviamente, con la dovuta esperienza, esprimerà una cerca ampia con andatura più sostenuta nella ricerca del branco mentre rallenterà e svolgerà una cerca più “dettagliata” nella ricerca del selvatico sbrancato che avrà guadagnato una rimessa forte e sarà estremamente restio a volare.
Il cane esperto, sagace e collegato saprà anche modulare l’andatura nel bosco in rapporto alla conformazione della vegetazione presente e riserverà sempre una particolare attenzione ai posti “buoni”. Ho sempre fatto volentieri a meno di quegli ausiliari che svolgono sempre lo stesso tipo di cerca ed esprimono la stessa andatura a prescindere. Li riconosci in pochi minuti: zampe ed occhi governano la loro azione e i loro accertamenti olfattivi nel vento sono inesistenti; li vedi correre a perdifiato lungo i sentieri del bosco o nei prati spesso di spalla o di riferimento con altri ausiliari. I loro occhi sono una fonte costante di distrazioni a scapito della funzione olfattiva che richiede una concentrazione assoluta. Il grande incontrista non è quello che ha maggior potenza olfattiva bensì l’ausiliare che dall’inizio alla fine della cacciata, senza soluzione di continuità, riuscirà a mantenere la dovuta concentrazione olfattiva nella ricerca della emanazione portata dal vento. Avidità olfattiva e vincolo dell’emanazione sono qualità imprescindibili per il cane cacciatore. Per vincolo dell’emanazione intendo la capacità dell’ausiliare di privilegiare l’emanazione del selvatico rispetto alla voglia di andare.
La coturnice, la beccaccia o il fagiano che in ambienti difficili si sottraggono velocemente di pedina o il selvatico disalato, che pure si sottrae di pedina e si acquatta in qualche pietraia o anfratto, rappresentano delle situazioni che a caccia si ripetono con una certa frequenza. Ebbene oggi, a causa di una selezione zootecnica incentrata prevalentemente sulla velocità, per tantissimi cani è spesso più importante correre che insistere nella decifrazione di una emanazione problematica. In buona sostanza il vero cane da caccia una volta agganciata l’usta del selvatico pedinante o ferito non la deve più mollare ma deve insistere, perseverare con grande tenacia fino alla risoluzione del dilemma olfattivo.
Il cane che abbandona l’emanazione del selvatico presente e riprende la sua corsa non è semplicemente un cretino ma il frutto avvelenato di una selezione zootecnica sbagliata. Oggi quanti cani, soprattutto delle razze inglesi, in un’azione di recupero difficoltosa riescono a insistere per più di qualche minuto prima di riprendere la folle corsa alla ricerca di altri selvatici lasciando lì quello ferito, incuranti dei richiami del malcapitato cacciatore che li vorrebbe lì concentrati nella ricerca.
E ancora, quanti cani allorché perdono il contatto con il selvatico riescono a mantenere la dovuta concentrazione per riannodare il filo dell’emanazione invece di allontanarsi frettolosamente alla insensata ricerca di altri selvatici? Magari, in questi casi, i cacciatori meno esperti ritengono che il selvatico si sia precedentemente involato ma spesso non è così. Su queste problematiche occorre riflettere seriamente. La conservazione di queste fondamentali prerogative del cane da ferma oggi non può che essere demandata agli autentici cacciatori, i quali dovrebbero porvi la massima attenzione soprattutto nella scelta dei riproduttori.
Il nostro interesse deve essere rivolto in primis a quei soggetti equilibrati dove la velocità è governata dalla funzione olfattiva e non viceversa. Questo, ovviamente, non significa che il cinegeta debba prescindere dalle altre qualità che pure sono importanti. Vorrei che su questo non si equivocasse giacché, personalmente, ritengo il trialer fondamentale nella selezione zootecnica del cane cacciatore ma al riguardo occorre saper distinguere il grano dal loglio, evitando rigorosamente quelli che in realtà sono levrieri travestiti che usano più gli occhi del naso.
Oggi con le razze inglesi, perlomeno con certe linee di sangue che più di altre hanno sofferto una selezione dissennata e stereotipata, fondata principalmente su meccanica del galoppo, velocità e soprattutto su una folle concezione della nota del concorso, è sempre più difficile rispetto alle razze continentali trovare soggetti equilibrati dove la velocità è governata dalla funzione olfattiva e non viceversa.
Caccia e pointer
Le problematiche del pointer sono oggi comuni a tutte le razze da ferma giacché i cani che vanno a caccia, quella autentica, sono sempre di meno e, per converso, dal mondo delle prove vengono indicazioni probanti solo in ordine alle qualità naturali di razza come meccanica del galoppo, portamento di testa, presa di punto, ferma, guidata, accostata eccetera, mentre nessuna indicazione viene su quelle qualità che sono altrettanto importanti come tempra, fondo, coraggio, senso del selvatico, vincolo e supremazia dell’emanazione, concentrazione olfattiva, qualità del piede per menzionarne alcune. Questo comporta che ci stiamo velocemente avviando verso il cane da sport che è cosa ben diversa dall’autentico cane da caccia!
Quando in Italia la nobile stanziale autentica abbondava, esisteva anche una vasta e solida platea di ottime cagne cacciatrici che accoppiate con il campione di turno (all’epoca erano pochi ma buoni) assicuravano, per la maggior parte, la continuità di quelle qualità sopra richiamate. Oggi, purtroppo, la situazione è profondamente mutata non solo perché la caccia autentica è sempre meno praticata per carenza di materia prima ma, soprattutto, perché la cinofilia venatoria funzionale alla caccia si è trasformata in cinofilia sportiva funzionale esclusivamente al risultato. Principale e nefasta conseguenza di tale radicale cambiamento è che oggi gli accoppiamenti vengono prevalentemente pensati ed effettuati solo tra cani da prove che a caccia non ci sono mai andati mentre, al contrario, all’epoca erano i migliori cani cacciatori e di qualità che venivano destinati alle prove.
Il futuro è del pointer?
Il pointer, se tale e ben alimentato, è in grado di sopportare anche i climi più freddi e piovosi che, tuttavia, a causa dei cambiamenti climatici, sono sempre più rari. Stagioni venatorie con precipitazioni scarse e temperature quasi torride sono al riguardo emblematiche. Quest’anno ho visto ausiliari di altre razze veramente in difficoltà anche in montagna e nei boschi in quota. Indubbiamente il pointer si fa preferire per cacciare in terreni aridi e a temperature elevate. Questo grazie alla sua particolare resistenza ai climi affocati (favorita dal pelo raso con tessitura vitrea) e alla straordinaria capacità a saper sfruttare anche la bava di vento più inconsistente. Non parliamo poi delle erbacce infestanti sempre più presenti e aggressive alle quali il mantello del pointer è invulnerabile.
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