Ars venandi è un saggio che porta anche noi cacciatori a rivedere le ragioni della nostra passione, a motivarle con coerenza facendo ricorso a tutti gli strumenti che la storia e la cultura ci mettono a disposizione
Ars venandi è un saggio che porta anche noi cacciatori a rivedere le ragioni della nostra passione, a motivarle con coerenza facendo ricorso a tutti gli strumenti che la storia e la cultura ci mettono a disposizione - © Matteo Brogi
Pubblicato il in Conservazione
di Matteo Brogi

L'arte della caccia, contro la cultura dominante - RECENSIONE

La recensione di "Ars venandi. La caccia tra storia e simbolismo", agile saggio sulla caccia e sui cacciatori del passato e del presente, è il pretesto per parlare con l'autore - Nicola Sgueo - del futuro dell'attività venatoria

Si può parlare di caccia, ambiente e conservazione fuori dagli schemi culturali dominanti e dal linguaggio mainstream? Nicola Sgueo - autore di un compendio sulla caccia intitolato Ars venandi. La caccia tra storia e simbolismo - ci dimostra che lo è. È possibile uscire dalla banale quanto strenua difesa dell'attività venatoria andando all'attacco, attingendo a valori differenti, talvolta divisivi.

Il saggio inizia con una domanda: L'uomo nasce cacciatore? La risposta è affermativa a partire dall'epoca dell'homo sapiens e Sgueo la motiva definendo con la sua ricerca storica l'arte di Artemide nell'antica Grecia, tra i romani, i celti e i germani, alla corte di Federico II di Svevia, nel medio evo fino all'era moderna, quando l'affermarsi dei valori illuministici fa emergere una nuova cultura che la trasforma da simulazione guerriera, rituale religioso e fonte di approvvigionamento ad attività da giustificare. Anche perché - sostiene Sgueo - Si assiste alla perdita di una «consapevolezza di fondo: molti cacciatori non si immergono totalmente nell'atto praticato, dimenticando di essere la prosecuzione diretta di una catena senza tempo, connessa al mito e alla fondazione. Talvolta, anche se esistono delle nobili eccezioni, la caccia è interpretata come mero passatempo».

Seguono alcune considerazioni sull'evoluzione delle armi da caccia, l'importanza del trofeo per il cacciatore, un'interessante indagine sul senso morale che la caccia può avere oggi alla luce degli scritti di Ortega y Gasset, Roger Scruton, Giorgio Gramignani, Dominique Venner. E proprio di Venner, storico e saggista francese morto suicida nel 2013 nella cattedrale di Notre-Dame di Parigi per protestare contro la progressiva scomparsa dei valori tradizionali europei, è l'incipit: «Insieme al parto, alla morte e alla semina, io credo che la caccia, quando la si vive secondo le regole, rappresenti il primo rito primordiale per sottrarsi in parte alle deturpazioni e manipolazioni della modernità razionale e scientifica». Ancora Venner, più avanti, fornisce una chiave di lettura della scarsa considerazione verso l'esercizio venatorio: «Più l'uomo è moderno, cioè urbanizzato, più la sua avversione verso la natura aumenta. Egli pensa d'amare gli animali condannando ad esempio i cacciatori, senza vedere che obbedisce a una morale compassionevole che è estranea alla natura. In realtà, ciò che detesta nei cacciatori, è la parte di animalesco, di vera natura e di selvatichezza ancora preservata in costoro».

Ars venandi è un saggio che porta anche noi cacciatori a rivedere le ragioni della nostra passione, a motivarle con coerenza facendo ricorso a tutti gli strumenti che la nostra storia e la cultura ci mettono a disposizione. Un lavoro ispirato, talmente fuori dagli schemi che mi ha spinto a intervistarne l'autore per comprendere il percorso ideale che l'ha portato ad abbracciare la caccia.

Se la caccia, come scrive Venner, è un "rito primordiale", chi vi prende parte lo fa in virtù di un richiamo ancestrale che ispira, in ciascuno, un differente percorso ideale. Qual è il tuo?

Ciò che mi ha spinto verso quel "richiamo" è stata, in primis, la passione che mi ha trasmesso mio padre. A lui devo anche una concezione della caccia di stampo etico. Vi sono cose che possiamo o non possiamo fare durante l'atto venatorio; e ciò non riguarda solamente le leggi in vigore. Stabilire il ruolo - come afferma Dominique Venner - che la natura ha imposto, da sempre, al predatore e alla preda. Checché ne dicano i sacerdoti del culto del progresso sfrenato, la caccia ha in sé elementi primordiali. Questo non è un discorso da reazionari caduchi e fallimentari, bensì una consapevolezza che la Tradizione è ciò che non passa ma, nel tempo, si può ripresentare sotto altre forme. E, per quanto mi riguarda, ciò vale anche per la caccia. Anch'essa l'ho vissuta - e la vivo - alla maniera di un iniziato. Entrando in contatto con la natura, anche compiendo l'atto venatorio, si rompe quel livello tra urbanizzazione e quel mondo rurale e boschivo nel quale lo si compie.

Al di là degli aspetti sulla ritualità, i cacciatori hanno il dovere di pensarsi e di agire alla maniera di autentici ecologisti. Essi hanno il dovere, attraverso la loro attività, di preservare la biodiversità, di promuovere giornate ecologiche, di rispettare e riportare la fauna all'interno dei territori selvatici. E di difendere la propria terra
Al di là degli aspetti sulla ritualità, i cacciatori hanno il dovere di pensarsi e di agire alla maniera di autentici ecologisti. Essi hanno il dovere, attraverso la loro attività, di preservare la biodiversità, di promuovere giornate ecologiche, di rispettare e riportare la fauna all'interno dei territori selvatici. E di difendere la propria terra - © Andrea Dal Pian

Cosa ti ha spinto a scrivere un libro sulla caccia e qual è il riscontro che hai ricevuto dai lettori?

Scrivevo questo libro nel bel mezzo dello studio per ottenere la licenza venatoria. Alcune vicende personali hanno fatto sì che la ottenessi molto tempo dopo la maggiore età. Perlopiù è stato un fattore di tempistiche. A ogni modo, questo aspetto non l'ho volutamente menzionato nel testo. I vari esercizi per immagazzinare a livello mnemonico la legislazione che funge all'ottenimento della licenza, in qualche modo, non mi bastavano. Tuttavia, per quanto concerne il mondo animale, è molto importante conoscerne le caratteristiche essenziali; da quelle che riguardano il loro habitat, fino a quelle biologiche. Ma la mia curiosità di storico e il desiderio di conoscenza mi hanno spinto nel ricercare alcuni elementi originari di quell'attività. Volevo essere consapevole di ciò che un giorno avrei potuto praticare. Al contempo, essendo anche un appassionato e studioso di religioni e folklore, ho cercato di aggiungere anche gli aspetti riguardanti alcuni aspetti della ritualità.

Per concludere fammi ringraziare Passaggio al bosco. L'editore ha avuto il coraggio - come per ogni titolo che pubblica, tra l'altro - di pubblicare un libro che oggi, per molti, può essere considerato "scomodo" o di scarso interesse per motivi differenti. I lettori - almeno, con quelli coi quali ho avuto modo di confrontarmi o con coloro che mi hanno cercato per parlarmene - hanno dato, ad oggi, una recensione positiva.

Nel tuo saggio inquadri la caccia come una possibile esperienza di "rivolta contro il mondo moderno". Quale può essere il suo contributo e quello dei cacciatori alla tutela dell'ambiente?

Come già ho accennato, considero la caccia un rito primordiale e non un'attività facente parte dell'alveo sportivo. Vi è infatti, a mio avviso, una differenza abissale tra il cacciatore e lo "sparatore" intriso di elementi di mitomania. Alcuni, purtroppo, considerano l'attività venatoria un tiro al poligono o un videogioco. Essi, oltre a gettare cattiva luce su un mondo formato da persone intrise di genuina etica e passione, contribuiscono, talvolta, all'accanimento sull'ecosistema e alla distruzione di alcune specie. Possiamo certamente discutere e contribuire attraverso i canali ufficiali a modificare un certo tipo di legislazione che agli occhi di ogni cacciatore - e non solo - che quotidianamente tasta il terreno - a differenza di molti "teorici salottieri" - può contenere alcune storture. Ma la caccia, a mio avviso, non è uno sport o un passatempo.

Per arrivare al punto focale della tua domanda, l'esperienza di rivolta contro il mondo moderno - per riprendere appunto il titolo del famoso testo di Julius Evola - l'ho ritrovata nelle parole di Roger Scruton, che riporto a mia volta nel libro. Come in altri ambienti e comunità umane, quello venatorio lo ritengo ancora in parte costellato di valori atavici che paiono smarriti: la solidarietà, il comunitarismo, il clan, la goliardia, l'autenticità e molti, molti altri. Persino la saggezza che si può ritrovare in cacciatori di lunga data. Come ho accennato in precedenza, è tutto un immedesimarsi in una sorta di rito; a partire, ad esempio, dalla cura e la pulizia delle armi.

Infine, credi che esista una strategia vincente per rendere l'esercizio venatorio socialmente accettabile da parte della cultura mainstream?

Aveva ragione Dominique Venner quando scriveva che più l'uomo si urbanizza e più odia la natura sotto ogni suo aspetto. L'odio è quindi riversato anche verso i cacciatori. Tuttavia, a differenza di ciò che si può credere, essi ne fanno parte nella maniera più autentica. La caccia non è avulsa da quel contesto. Al di là degli aspetti sulla ritualità, i cacciatori hanno il dovere di pensarsi e di agire alla maniera di autentici ecologisti. Essi hanno il dovere, attraverso la loro attività, di preservare la biodiversità, di promuovere giornate ecologiche, di rispettare e riportare la fauna all'interno dei territori selvatici. E di difendere la propria terra.

Il vero cacciatore, nella sua azione, ha il dovere del senso del limite, che non è solo dato dalla legislazione vigente, ma da un vigoroso senso dell'etica. Nell'epoca della tracotanza e degli eccessi noi cacciatori, nel nostro piccolo, dovremmo dare l'esempio. Per ciò che riguarda la cosiddetta "accettazione" da parte del mainstream, non è semplice. Dobbiamo prendere atto che la società è cambiata, ma altresì dovremmo proporre alcuni veicoli per modificarla. Se diamo importanza al solo dato numerico - che è non secondario, sia chiaro - un tempo essere cacciatori era considerata una cosa nella norma. Non era obbligatorio, ovviamente. Ma nessuno si scandalizzava. Oggi un uomo o una donna - poiché vi sono molte donne che oggi praticano l'attività venatoria - che afferma di essere cacciatore, o quantomeno si schiera in maniera favorevole, può destare scandalo. Pertanto, stiamo vivendo in un'epoca nella quale vi è la volontà di umanizzare l'animale, togliendogli ogni suo aspetto autentico di selvatichezza.

Si pensi, ad esempio, ai cani. Qualche tempo fa ho letto un breve elogio del bracco italiano di Camillo Langone. Egli lo aveva preso come modello contro i vari cagnetti infiocchettati e nella borsetta che piacciono a molti padroni che tendono a umanizzare gli animali. Non solo i cani ne sono vittime. Langone, insomma, ha definito il bracco come «vertice estetico e funzionale, bello e buono nel senso del "kalòs kagathòs" dei Greci ossia bello e valoroso» e poi, in maniera ironica aggiungeva «talmente utile che uno di questi giorni mi aspetto che mi porti una beccaccia». Ecco, in poche righe si è colto nel punto! Ad ogni modo, per quanto mi riguarda, occorre che le associazioni venatorie, con la massima volontà, promuovano iniziative come quelle che ho espresso in precedenza. Potremmo proseguire all'infinito nella chiacchierata. Ma, per dire tutto ciò che penso in questo frangente occorrerebbe, davvero, un altro libro.

Nicola Sgueo, Ars venandi. La caccia tra storia e simbolismo, Passaggio al bosco, 2022
Nicola Sgueo, Ars venandi. La caccia tra storia e simbolismo, Passaggio al bosco, 2022 - © Matteo Brogi

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