Il principale focolaio di Psa è quello sviluppatosi nelle regioni del nord Italia
Il principale focolaio di Psa è quello sviluppatosi nelle regioni del nord Italia - © Dave Pape
Pubblicato il in Conservazione
di Andrea Reversi

Peste suina africana, nuove regole e nuove restrizioni in arrivo

La lotta alla malattia si appresta a passare a una nuova fase legata al mutato contesto epidemiologico

Da oltre due anni, più precisamente dal 7 gennaio 2022, il nostro paese deve fare i conti con la presenza, ormai su una fetta consistente del proprio territorio, della Peste suina africana. Lo scorso 6 febbraio si è riunito, presso il Ministero della Salute, il Gruppo operativo degli Esperti PSA con l'obiettivo di discutere dell'evoluzione epidemiologica della malattia nelle Regioni del nord e delle possibili strategie da adottare al fine di contrastare l'avanzamento del fronte epidemico. Dalla lettura del verbale della riunione si evincono importanti aspetti che possono aiutarci a meglio comprendere cosa accadrà nei prossimi mesi.

La situazione attuale

Il principale focolaio di Psa è quello sviluppatosi attorno al primo caso nazionale nelle Regioni Piemonte, Liguria, Emilia Romagna e Lombardia. In questo contesto la malattia presenta due fronti di avanzamento nella popolazione di cinghiali. Il primo a sud-est verso La Spezia e la Toscana e il secondo a nord-est verso Piacenza. Per quanto riguarda la Lombardia, oltre al focolaio presente nel parco del Ticino, sono state registrate positività sempre nella Provincia di Pavia, in particolare in Lomellina, che potrebbero essere state determinate dalla passata epidemia di Psa negli allevamenti della Provincia.

Cosa non ha funzionato

In questi due anni l'insufficiente o scarso ricorso alle opere di recinzione o la loro non realizzazione in tempi celeri, ha compromesso l'efficacia del contenimento dell'infezione. Inoltre, il non sufficiente sforzo nelle attività di sorveglianza passiva, sia in termini di segnalazione delle carcasse, sia di ricerca delle stesse, ha causato un notevole ritardo nell'individuazione di nuovi territori infetti. Le attività di depopolamento, laddove messe in atto massicciamente, hanno sicuramente contributo a limitare la diffusione del virus, seppur la loro incisività sia stata ridotta notevolmente dall'assenza di una corretta applicazione delle altre strategie (barriere fisiche e ricerca carcasse).

Come cambia la strategia

Secondo il gruppo di esperti l'obiettivo dell'eradicazione della malattia in un simile contesto è da considerare utopistico, non solo nel breve termine, ma con buona probabilità anche in quello medio-lungo. In ogni caso viene ritenuto fondamentale attuare una strategia di contenimento finalizzata a evitare il coinvolgimento di aree altamente vocate all'industria suinicola e l'avanzamento della malattia sulla catena appenninica, elemento quest'ultimo che le permetterebbe di colonizzare tutta la penisola. Si passerà dunque a una sorta di "fase due" nella quale anche nel pianificare le modalità di intervento si dovrà tenere a mente il mutato scenario.


Come si intende procedere

Le strategie principali, seppur riviste alla luce della situazione attuale, restano il depopolamento e la realizzazione o il rafforzamento di barriere fisiche in grado di rallentate, questo è quello che provano tutte le esperienze europee, l'avanzata della malattia. Per quanto riguarda le azioni di depolamento, in particolare sul versante est del fronte epidemiologico, occorrerebbe procedere con un numero di abbattimenti almeno pari al doppio del prelievo dell'anno precedente entro il mese di luglio 2024. Se portata avanti in maniera efficace, questa strategia dovrebbe essere in grado di contenere la malattia fino ad arrestarne l'avanzata.

Cambiano anche i criteri di individuazione delle zone di restrizione

Fino ad oggi le zone di restrizione erano istituite prevedendo un raggio di 10 km dall'ultimo caso più esterno per quanto riguarda i confini della ZR2 e individuando una fascia di Comuni attorno a questi per identificare i confine della ZR1. Tale metodo spesso non è però riuscito a garantire che i successivi casi ricadessero all'interno dei limiti delle zone di restrizione. Proprio su questo la Commissione europea ha in più occasioni mostrato perplessità e ha chiesto all'Italia che la revisione delle zone avvenga in modo meno minimalistico e puntuale. I dati hanno inoltre suggerito che dal momento in cui si ritrova un caso positivo la malattia è già avanzata di ulteriori 5 km con un conseguente notevole ritardo nell'individuazione di nuovi territori infetti. Per questi motivi d'ora in avanti il raggio utilizzato per l'istituzione di ZR2 sarà di 15 km e quello per le ZR1 di 6.

Occorrerà ora vedere se quanto delineato dal gruppo di esperti sarà applicato in modo idoneo da tutti gli attori coinvolti nella gestione della malattia e se a quel punto sarà in grado di dare i risultati sperati. Nel frattempo il mondo venatorio, o almeno quella parte che non lo ha ancora fatto, dovrà abituarsi all'idea di una convivenza forzata con la malattia e all'idea che l'unica strada in grado di produrre risultati è quella dell'impegno nella collaborazione con le istituzioni nella lotta al virus.

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