di Matteo Brogi
Ristorante Podere Belvedere: la carne di selvaggina si trasforma
Dal colombaccio al cervo e quello che sta nel mezzo. Quella di Edoardo Tilli è una cucina d'avanguardia, sviluppata studiando e sperimentando da autodidatta. Con l'obiettivo di mantenere l'autenticità della carne selvatica esaltandone le caratteristiche di eccellenza
La cucina di Podere Belvedere non ha bisogno di un riferimento stilistico per essere definita. È una cucina creativa, pertanto libera da schemi e condizionamenti. È una ricerca continua sul gusto e di nuove idee. Così - più o meno - racconta il menu di Edoardo Tilli, giovane quanto visionario cuoco toscano che ha fatto della zona del Chianti Rufina, a pochi chilometri da Firenze, la sua casa.
Per la verità, in quella zona famosa nel mondo per il Gallo nero - storico simbolo del Chianti - Edoardo c'è nato e il ristorante l'ha aperto nel podere che appartiene alla sua famiglia dal 1987. È un autodidatta partito dal basso, spinto da una sana ambizione, per proporre una cucina d'avanguardia, tradizionale negli ingredienti ma innovativa nei processi e nelle cotture. E cosa c'è di più tradizionale della carne selvatica? «La qualità della carne di selvaggina è indiscussa; se il gusto della memoria è cambiato, la selvaggina è intatta nella sua condizione di autenticità e sta al cuoco gestire ed esaltare un prodotto già eccellente». Questo è il pensiero che Edoardo mi restituisce quando gli domando il perché di una scelta apparentemente estrema. Perché, sì, se siamo fermi ai salmì, alle lunghe marinature (magari nel Tavernello), la sua cucina potrà sembrare estrema. Se invece abbiamo iniziato un percorso e già siamo abituati alle giuste frollature e magari alle tartare, quello di Tilli è un passo ulteriore, in avanti. Con lui entriamo nel campo della sperimentazione.
Podere Belvedere: cronaca di un'esperienza
Di Edoardo mi ha parlato un amico, quel Lido Vannucchi autore del servizio fotografico che illustra questo articolo. E così, il 24 marzo, ci troviamo insieme al Podere Belvedere perché io possa entrare nel mondo di Edoardo e di Klodiana Karafilaj, la regina della sala. Mi affido alla loro esperienza: voglio mangiare selvaggina. Voglio sperimentare e voglio scriverne perché, come ormai ci stiamo raccontando da anni come fosse un mantra, è anche attraverso la gastronomia che arriveremo a legittimare la caccia sostenibile del terzo millennio.
Edoardo è una persona che tracima passione, schiva al tempo stesso. Non vuole sentirsi al centro, usa sempre la prima persona plurale. Per rispetto dell'impegno di Klodiana, certo, ma pure per quella sana umiltà che contrassegna chi si è fatto da sé e non vuole dare nulla per scontato. Non è cacciatore, anche se "ambisce" a diventarlo, e crede nella necessità di «una caccia sostenibile che garantisca il rispetto della fauna e favorisca l'avvicinamento alla pratica venatoria di persone intelligenti che possano portarla avanti. Perché la caccia è cultura», continua, così come cultura è «il lavoro del cuoco; noi siamo come si mangia e con la cucina si può comunicare a patto di mettere autenticità, energie e sacrificio nel proprio lavoro».
Le premesse per fare un'esperienza gastronomica fuori dagli schemi ci sono tutte. E la successione del Colombaccio in tutte le sue parti e cotture, della Tagliatella con ragù di cervo, garum di cervo e miele di cipresso, della Bistecca di daino alla brace più vari assaggi - tra questi un cubetto di bistecca wet aged di vacca vecchia - è una cavalcata che esalta il concetto di gastronomia venatoria. La carne di vacca - unica evasione dal tema selvatico - proviene da un bovino di oltre 13 anni di età; morbida come il burro; la bistecca di daino dalla coscia di un ungulato prelevato 285 giorni prima (il 12 giugno 2022); la carne del ragù, di giorni ne ha 218 (18 agosto 2022). Morbidissime, saporite, digeribili. Il garum - moderno feticcio dei cuochi con poche idee - è qui utilizzato con discernimento e discrezione.
Di frollatura e fermentazioni
Per capirci qualcosa, del progetto di Edoardo, bisogna fare un passo indietro. Appassionato di caccia per tradizione familiare, Edoardo ha un legame molto forte con la terra. Da qui nasce la sua predilezione per la carne in genere, di selvatico in particolare. La materia prima la acquista dai cacciatori di selezione del suo territorio (cacciatori formati, in regola con tutte le prescrizioni): solo selvatici interi e in pelo. Alla macellazione e al sezionamento provvede in proprio. Per di più, è un appassionato di tecniche di frollatura.
La sua cucina, d'avanguardia, va a lavorare sulla chimica della materia prima e la frollatura è lo strumento che utilizza per ricercare e proporre sapori nuovi. «La selvaggina va conservata con il pelo, il riposo e la maturazione delle carni producono un gusto interessante e digeribile». Oltre certi limiti, la frollatura - specie se umida, dove intervengono muffe nobili - procura la trasformazione delle carni e consente di estremizzare, fare sperimentazione. «Dove non c'è acqua non c'è vita», ribadisce Edoardo, e questo è il motivo per cui evita le frollature asciutte. «I processi fermentativi che si innescano con l'intervento delle muffe nobili producono una complessità esaltante» che può portare per esempio ad abbinamenti con il pesce. Certo, non è il gusto cui siamo abituati, ma Edoardo ha proprio questo obiettivo: uscire dalla classicità per recuperare "un'eredità di sapori e saperi che nessuno può permettersi di limitare ma che uno chef deve saper interpretare e traghettare nel presente". Le marinature e le lunghe cotture sono bandite, tanto per iniziare.
Ai 12 tavoli del ristorante, sia che si mangi selvatico sia che si preferisca il bovino, ci si confronta con sapori decisi che sono apprezzati da chiunque venga a Podere Belvedere privo di pregiudizi e pronto a «mangiare il sacrificio del cuoco», come dice Edoardo. Carni "trasformate", cotture rigidamente alla brace o, presto, realizzate sul fuoco della cucina economica. La sua proposta primaverile, da inizio aprile, merita un'attenta considerazione; alla carta si affiancano due menu degustazione, Terra e Fuoco, quest'ultimo consigliato a chi privilegia i sapori selvatici. Un'esperienza gastronomica che vale il viaggio.
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