Per sviluppare dei piani gestionali, la conoscenza dello status attuale delle popolazioni è fondamentale come lo è il monitoraggio per valutare gli effetti delle politiche adottate e, se del caso, correggere il tiro
Per sviluppare dei piani gestionali, la conoscenza dello status attuale delle popolazioni è fondamentale come lo è il monitoraggio per valutare gli effetti delle politiche adottate e, se del caso, correggere il tiro - © Andrea Dal Pian
Pubblicato il in Conservazione
di Diana & Wilde

Servono davvero i dati di censimenti e abbattimenti?

Non vi sono regole di gestione faunistica scritte sulla pietra, quanto piuttosto una serie di indicazioni che sono figlie dei tempi e legate a specifiche situazioni ambientali, culturali ed economiche. Lo status attuale di alcune popolazioni di ungulati conferma la necessità di adattamento delle capacità di interpretazione alle variabili della gestione faunistica

di Ezio Ferroglio

Per sviluppare dei piani gestionali, la conoscenza dello status attuale delle popolazioni è fondamentale come lo è il monitoraggio per valutare gli effetti delle politiche adottate e, se del caso, correggere il tiro. Ovviamente, più dati raccogliamo e meglio è, ma purtroppo anche la raccolta dei dati ha un costo e questo va continuamente bilanciato con i benefici che ci si attende ne derivino: questo vuol dire che siamo obbligati a scegliere e, scegliendo, a rinunciare. Che cosa ha senso che rientri nei parametri scelti dipende da moltissimi fattori, alcuni di questi sono tecnici, ma vi sono anche aspetti culturali che possono incidere pesantemente sulla scelta finale.

Arrivando da secoli di assenza degli ungulati, vi era l'evidente timore che l'uomo potesse gestire queste specie in modo non oculato e quindi si imposero delle norme precise per il prelievo che prevedevano il monitoraggio delle popolazioni e del loro stato di salute attraverso la valutazione dell'abbondanza e il controllo dei capi abbattuti
Arrivando da secoli di assenza degli ungulati, vi era l'evidente timore che l'uomo potesse gestire queste specie in modo non oculato e quindi si imposero delle norme precise per il prelievo che prevedevano il monitoraggio delle popolazioni e del loro stato di salute attraverso la valutazione dell'abbondanza e il controllo dei capi abbattuti - © Andrea Dal Pian

Contrariamente a quanto spesso sostiene qualcuno, che si ostina ad ancorarsi a "conoscenze" o "linee guida", non vi sono regole di gestione faunistica scritte sulla pietra, quanto piuttosto una serie di indicazioni figlie dei tempi e legate a specifiche situazioni ambientali, culturali ed economiche. Le uniche indicazioni "certe" sono quelle che regolano i sistemi ambientali, ma si tratta spesso di conoscenze imperfette e che richiedono grande spirito di osservazione, una grande capacità di analisi e molta umiltà, in pratica quello che si definisce un approccio scientifico. Perché la scienza, o almeno quella vera con la S maiuscola, parte proprio dal presupposto di non sapere e chi la pratica sa che per svelare le regole della natura si procede per tentativi. Da qui la necessità di monitorare per vedere cosa sta succedendo, quali variazioni ci sono, quali fattori e in che modo influenzano queste variazioni e come intervenire senza disturbare il sistema, anzi, indirizzandolo nella gestione che abbiamo immaginato.

Una crescita improvvisa

Negli ultimi 30 anni vi sono state variazioni incredibili tant'è che quando fu emanata la legge 157/92 gli ungulati erano una presenza limitata a poche realtà (soprattutto alpine); negli anni successivi gli ungulati ricomparvero e letteralmente esplosero un po' ovunque diventando così gli attori principali, almeno in molti contesti, della gestione venatoria. All'epoca, arrivando da secoli di assenza degli ungulati, vi era l'evidente timore che l'uomo potesse gestire queste specie in modo non oculato e quindi si imposero delle norme precise per il prelievo che prevedevano il monitoraggio delle popolazioni e del loro stato di salute attraverso la valutazione dell'abbondanza e il controllo dei capi abbattuti. Da qui nacque, declinata in molti modi diversi a seconda della realtà locale, la necessità di realizzare dei censimenti che fornissero un'indicazione del numero dei capi presenti per poter poi stabilire un piano di prelievo che non intaccasse "il capitale". Nella maggior parte dei casi i censimenti prevedevano la conta dei capi con l'ausilio di binocoli o cannocchiali da punti fissi o lungo transetti stabiliti abbinati spesso, per le specie notturne (specialmente cervidi), da transetti percorsi di notte in auto dove, grazie all'ausilio di un faro, si potevano avvistare e contare i capi.

Nella maggior parte dei casi i censimenti prevedevano la conta dei capi con l'ausilio di binocoli o cannocchiali da punti fissi o lungo transetti stabiliti abbinati spesso, per le specie notturne (specialmente cervidi), da transetti percorsi di notte in auto
Nella maggior parte dei casi i censimenti prevedevano la conta dei capi con l'ausilio di binocoli o cannocchiali da punti fissi o lungo transetti stabiliti abbinati spesso, per le specie notturne (specialmente cervidi), da transetti percorsi di notte in auto - © Andrea Dal Pian

A queste attività si abbinava la raccolta dei dati biometrici con modalità che andavano dalla semplice raccolta della mandibola per avere età e lunghezza, alla compilazione da parte di un tecnico specializzato di una completa scheda biometrica del capo abbattuto. In alcune realtà, penso al Piemonte, si arrivò a istituire dei veri e propri centri di controllo a cui andavano, e vanno tutt'oggi, conferiti tutti gli ungulati abbattuti (in alcune realtà il cinghiale sfuggiva a questa regola) e qui un tecnico faunistico provvede alla raccolta dai dati e, se necessario, dei campioni.

Una gestione non esente da imprevisti

Si crearono quindi le condizioni per una gestione oculata, basata sui dati oggettivi (censimenti e parametri biometrici) che avrebbero dovuto garantire una "gestione faunistica millenaria". Dopo alcuni anni in cui sembrava che non potesse esservi limite all'espansione di camosci, caprioli e cervi (qualcuno amava dire che i caprioli erano quasi infiniti come... le stelle nel cielo), i numeri sono iniziati a diminuire e nell'ultimo decennio in alcuni Comprensori i piani di abbattimento del capriolo sono scesi di oltre il 60%.

Dopo alcuni anni in cui sembrava che non potesse esservi limite all'espansione di camosci, caprioli e cervi, i numeri hanno iniziato a diminuire
Dopo alcuni anni in cui sembrava che non potesse esservi limite all'espansione di camosci, caprioli e cervi, i numeri hanno iniziato a diminuire - © Andrea Dal Pian

Com'è stato possibile tutto questo se avevamo tutto sotto controllo? Purtroppo, non abbiamo una risposta certa che possa aiutarci a comprendere quanto è accaduto e a spiegare quali possano essere state le cause del decremento che si è registrato in molte realtà. Il fatto che i pesi dei capi, soprattutto giovani, siano diminuiti negli anni è un fattore importante e, magari incrociandolo con le strutture delle popolazioni (almeno quelle dei capi abbattuti), si sarebbe potuto azzardare qualche ipotesi e valutare se fosse necessario, per esempio, una diversa ripartizione del prelievo tra le classi o una sua riduzione.

Censire non è così semplice

Purtroppo, questo non è avvenuto da parte degli enti statali a questo preposti, ma neanche da parte della Regione o dei Comprensori che quelle popolazioni dovevano gestire. Così, nell'epoca dei big data, in cui l'importanza dei dati e della loro analisi impatta su tutte le nostre attività (basti pensare al rischio di profilazione che ognuno di noi corre), un patrimonio di informazioni (censimenti, abbattimenti, parametri biometrici, sforzo di caccia) che in alcuni casi, ad esempio il Piemonte, copre oltre 5 lustri, non è stato utilizzato quantomeno per cercare di individuare i fattori che avrebbero aiutato a capire l'evoluzione in corso. Negli anni, poi, vi è stato un cambiamento tecnologico che ha sicuramente "falsato" alcuni dei dati raccolti, introducendo delle variazioni di cui tenere conto nell'analisi dei dati. Ad esempio, la disponibilità di telemetri e di ottiche con compensazione della caduta ha permesso tiri sempre più "lunghi" e quindi, facilitando il prelievo, anche una diminuzione delle giornate necessarie per prelevare un capo.

Ai censimenti si abbina la raccolta dei dati biometrici con modalità che vanno dalla semplice raccolta della mandibola alla compilazione da parte di un tecnico specializzato di una completa scheda biometrica del capo abbattuto
Ai censimenti si abbina la raccolta dei dati biometrici con modalità che vanno dalla semplice raccolta della mandibola alla compilazione da parte di un tecnico specializzato di una completa scheda biometrica del capo abbattuto - © Andrea Dal Pian

Se guardiamo al passato più recente, è stato l'avvento dei visori termici il principale evento perturbatore del sistema. Si tratta di strumenti che hanno avuto uno sviluppo incredibile e il cui utilizzo nella gestione faunistica si può rivelare di grande importanza, sia per la fase di raccolta dati che per la realizzazione degli abbattimenti (per esempio il prelievo notturno del cinghiale). Purtroppo, se non consideriamo che il loro impiego permette di contare molti più animali e nell'analisi del censimento utilizziamo il numero ottenuto in questo modo come se utilizzassimo ancora binocolo e cannocchiale senza un termine di correzione, rischiamo di sovrastimare il numero di capi, utilizzando però poi delle percentuali di prelievo che si rivelano troppo alte.

L'avvento dei visori termici è stato il principale evento perturbatore del sistema. Se non consideriamo che il loro impiego permette di contare molti più animali e nell'analisi del censimento utilizziamo il numero ottenuto in questo modo come se utilizzassimo ancora binocolo e cannocchiale senza un termine di correzione, rischiamo di sovrastimare il numero di capi
L'avvento dei visori termici è stato il principale evento perturbatore del sistema. Se non consideriamo che il loro impiego permette di contare molti più animali e nell'analisi del censimento utilizziamo il numero ottenuto in questo modo come se utilizzassimo ancora binocolo e cannocchiale senza un termine di correzione, rischiamo di sovrastimare il numero di capi - © Hunting Log

Banalmente immaginiamo che, usando il binocolo, io riesca a vedere il 50% dei camosci, cervi, caprioli presenti, contandone 50 significa che i capi presenti sono 100, e applicando una percentuale di prelievo del 20% (quindi il 20% di 50 che fa 10 capi) prelevo 10 capi. Se uso un metodo, termocamera, più sensibile, che mi permette invece di vedere il 90% degli animali presenti e ne continuo a contare 50, non vuol dire che la mia popolazione non è cambiata, perché in questo caso la popolazione è in realtà di 55 e non più di 100 soggetti. Il vero problema nasce quando io uso la stessa percentuale di prelievo del 20% perché vado lo stesso a prelevare 10 soggetti, ma sono 10 su 55, mentre prima ne prelevavo 10 su 100. Quindi, usando un metodo che permette di individuare gli animali più facilmente, dovrei diminuire di conseguenza la percentuale del prelievo che è stata pensata per metodi molto più grossolani. Questo però non è stato realizzato da molti anche perché l'utilizzo di termocamere rende più facile anche la caccia e quindi inizialmente i capi abbattuti e lo sforzo di caccia non sembrano diminuire proprio perché "dopati" dal sistema. Il risultato però è abbastanza drammatico in una popolazione che sta diminuendo perché non vado a ridurre prontamente il prelievo.

L'incognita-predatori

A tutto questo si aggiunge, in molte aree, la ricomparsa dei grandi carnivori che è stato un nuovo fattore che negli ultimi anni ha impattato sulle popolazioni di ungulati in modo pesante; avremmo probabilmente dovuto, grazie al monitoraggio continuo, accorgerci di quanto stava accadendo. Invece adesso tutti a lamentarsi senza però fornire dati che permettano di correlare l'aumento del predatore alla drastica riduzione degli ungulati e quindi oltre al danno (la diminuzione del patrimonio ungulati) il mondo venatorio subirà anche la beffa perché qualcuno non mancherà di imputare la diminuzione di molte popolazioni di camosci, cervi e caprioli all'attività venatoria.

Risulta fondamentale colmare quel gap di informazioni che attualmente non consente di evidenziare pienamente distribuzione e abbondanza del lupo, che rischiano così di essere sottostimate
Risulta fondamentale colmare quel gap di informazioni che attualmente non consente di evidenziare pienamente distribuzione e abbondanza del lupo, che rischiano così di essere sottostimate - © Andrea Dal Pian

Tornando alla domanda iniziale sembra quasi che la risposta debba essere negativa, invece non è così, anzi. Oggi più che mai c'è necessità di dati e occorre anche pensare a raccogliere dati che siano il più oggettivi possibile, che siano standardizzati in modo da confrontare realtà diverse e poter più facilmente individuare i fattori che incidono sulle dinamiche delle popolazioni. In questa direzione si muovono diverse istituzioni a livello europeo e sarebbe opportuno che anche nel nostro paese ci si attivasse.

Tecniche di censimento alternative

L'impiego di fototrappole è un metodo che molte realtà stanno utilizzando e che permette di raccogliere una serie importante di informazioni. Magari avrebbe senso che gli Enti di gestione faunistica estendessero la raccolta dati anche a specie criptiche, penso ai grandi predatori, che attualmente sono oggetto di monitoraggi specifici, spesso a opera di enti terzi, ma che spesso mancano di quella risoluzione spaziale che il mondo venatorio potrebbe fornire. In tale ottica ci sono diverse possibilità, vedi le App che, a costo zero e con poco sforzo, permettono di segnalare ogni specie animale, anche soggetti morti, e permetterebbero di colmare quel gap di informazioni che attualmente non consente di evidenziare pienamente distribuzione e abbondanza del lupo, che rischiano così di essere sottostimate.

L'impiego di fototrappole è un metodo che molte realtà stanno utilizzando e che permette di raccogliere una serie importante di informazioni
L'impiego di fototrappole è un metodo che molte realtà stanno utilizzando e che permette di raccogliere una serie importante di informazioni - © Hunting Log

Se ci muoviamo dai ruminanti e passiamo al cinghiale, diventa ancora più importante la raccolta di informazioni sulla densità delle popolazioni anche perché, valutando la densità prima e dopo l'attività di prelievo, si può valutare l'efficacia delle azioni di contenimento attuate e questo è chiaramente un contributo importante che il mondo venatorio può dare nella gestione delle popolazioni di cinghiale in un'epoca in cui la Peste suina africana è un'emergenza nazionale e comunitaria.

Gestione a 360°

Ovviamente, non sono solo gli ungulati a essere interessati dai censimenti e dal monitoraggio in generale; anche le specie minori o la migratoria necessitano ormai di dati per una loro adeguata gestione. Ormai anche per la beccaccia i dati di censimento e l'analisi dei capi prelevati sono uno strumento basilare della moderna gestione.

Oggi più che mai c'è necessità di dati e occorre anche pensare a raccogliere dati che siano oggettivi e standardizzati per consentire il confronto tra realtà diverse
Oggi più che mai c'è necessità di dati e occorre anche pensare a raccogliere dati che siano oggettivi e standardizzati per consentire il confronto tra realtà diverse - © Hunting Log

Quindi la risposta alla domanda del titolo non può essere che sì, ma non basta raccogliere dati e informazioni, bisogna anche analizzarli in modo adeguato e utilizzare i risultati dell'analisi per migliorare le attività legate alla gestione faunistica. Oggi, forse ancor più che in passato, senza dati oggettivi, ovviamente abbinati a un'analisi scientifica, si rischia di perdere credibilità e soprattutto il controllo della situazione.

Articolo concesso da Diana & Wilde / Edizioni Lucibello, marzo 2024

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