Sono numerosissime le specie aliene (o alloctone) invasive. Dalle ultime ricerche si stima che nel nostro Paese siano almeno 15 i mammiferi (12% delle specie) e 63 i pesci (50% delle specie) introdotti dall'uomo. Tra questi il procione, deliberatamente introdotto in passato per scopi venatori in Germania e come animale da pelliccia nell'ex Unione sovietica
Sono numerosissime le specie aliene (o alloctone) invasive. Dalle ultime ricerche si stima che nel nostro Paese siano almeno 15 i mammiferi (12% delle specie) e 63 i pesci (50% delle specie) introdotti dall'uomo. Tra questi il procione, deliberatamente introdotto in passato per scopi venatori in Germania e come animale da pelliccia nell'ex Unione sovietica - © Clément Bardot
Pubblicato il in Conservazione
di Diana & Wilde

Specie alloctone, la soluzione è l'eradicazione

La gestione delle specie aliene invasive riveste un ruolo cruciale quando si parla di conservazione della biodiversità. In Italia, i casi della nutria, della minilepre e dello scoiattolo grigio - tra molti altri - dimostrano perfettamente la rilevanza del problema e indicano senza margine di errore quale deve essere la risposta gestionale

di Massimo Camus

Alcune volte viene impiegato anche il termine di specie naturalizzata o specie spontaneizzata (specialmente nel caso di vegetali). Invece, quando la specie alloctona, per le sue elevate capacità competitive, compromette gli ecosistemi originari, si parla di specie aliena invasiva. La parola alieno deriva dal latino alius, che significa altro; letteralmente che appartiene ad altri, estraneo. Queste invasioni biologiche sono una minaccia emergente e vengono oggi considerate una delle principali cause della perdita di biodiversità, insieme alla distruzione degli habitat, allo sfruttamento eccessivo delle risorse e all'inquinamento.

Per quanto riguarda il nostro Paese, alcune specie sono state introdotte volontariamente, come animali allevati a fini produttivi, animali domestici o piante ornamentali, mentre altre sono giunte involontariamente attraverso gli scambi commerciali o rotte turistiche. Una specie alloctona che si inserisce in un nuovo habitat può essere non adatta o non in grado di adattarsi e quindi estinguersi nel nuovo areale o mantenere livelli di popolazione molto bassi, magari solo per un breve periodo di tempo.

Il cervo sika è stato introdotto e allevato a scopo alimentare; i primi esemplari in libertà di cui si ha prova risalgono a foto scattate in provincia di Modena nel dicembre 2011. In seguito, esemplari sono stati visti e catturati anche in provincia di Parma e poi sono stati trovati esemplari ibridi, una minaccia per la conservazione delle popolazioni di cervo europeo
Il cervo sika è stato introdotto e allevato a scopo alimentare; i primi esemplari in libertà di cui si ha prova risalgono a foto scattate in provincia di Modena nel dicembre 2011. In seguito, esemplari sono stati visti e catturati anche in provincia di Parma e poi sono stati trovati esemplari ibridi, una minaccia per la conservazione delle popolazioni di cervo europeo - © Andreas F. Borchert

Esistono molti casi in cui, però, una specie aliena riesce a adattarsi e a sopravvivere in un habitat nuovo e differente da quello in cui essa si è evoluta e in cui normalmente vive. In questi casi la specie può prosperare nel nuovo ambiente, riproducendosi anche in grandi numeri e per lunghi periodi. Sovente, una specie aliena che si adatta a un nuovo habitat ne altera l'equilibrio, per esempio entrando in competizione con una o più specie autoctone. In alcuni casi, la specie alloctona prende il sopravvento su una o più specie originarie, portando le popolazioni autoctone persino all'estinzione.

Uno dei frequenti motivi del vantaggio delle specie aliene su quelle autoctone è l'assenza di predatori e parassiti specifici che possano frenare la crescita di queste popolazioni. La loro espansione può minacciare la biodiversità, causando profondi cambiamenti nei processi biologici, ma può avere anche grandi impatti socioeconomici, per esempio attraverso danni diretti alla salute o alle attività umane.

Quando l'introduzione è accidentale...

Per quanto riguarda i canali di introduzione, si possono distinguere e annoverare diverse vie come la fuga accidentale di specie; questa è la principale causa di diffusione di piante invasive che "fuggono" da giardini o acquari, ma lo è anche per molte specie di animali che fuggono letteralmente dalla cattività, come da impianti di acquacoltura o da allevamenti (es. la nutria, il visone americano, il gambero della Louisiana).
Ci sono le introduzioni accidentali per le quali si registra la maggior parte di diffusione delle specie invasive sia tra gli invertebrati terrestri, sia delle specie marine, come specie "autostoppiste" o contaminanti (ad esempio tramite acqua di zavorra delle navi). Vi sono anche casi eclatanti di specie ormai cosmopolite che hanno seguito l'uomo ovunque, come è il caso del comune ratto delle chiaviche (Rattus norvegicus).

... e quando è volontaria

Poi ci sono le introduzioni operate intenzionalmente per ottenere popolazioni naturalizzate di specie alloctone; a questa tipologia vanno ascritte principalmente le specie faunistiche introdotte a scopo venatorio come il fagiano comune (Phasianus colchicus), il colino della Virginia (Colinus virginianus), il silvilago o minilepre (Sylvilagus floridanus); o a scopo alieutico: il siluro (Silurus glanis), la trota iridea (Onchorynchus mychiss).

L'introduzione di specie spesso crea problemi di inquinamento genetico in quanto vengono immessi taxa strettamente affini a specie autoctone; è molto facile per esempio l'ibridazione tra la coturnice orientale (chukar) con la pernice rossa (Alectoris rufa) o la coturnice (Alectoris greca/ saxatilis), entrambe autoctone in Italia.

Lo scoiattolo grigio, originario del Nord America, sta colonizzando i boschi dell'Europa. Inizialmente era venduto come animale da compagnia e ora è arrivato a popolare i boschi, dove sta sostituendo il cugino italiano, causandone l'estinzione
Lo scoiattolo grigio, originario del Nord America, sta colonizzando i boschi dell'Europa. Inizialmente era venduto come animale da compagnia e ora è arrivato a popolare i boschi, dove sta sostituendo il cugino italiano, causandone l'estinzione - © C. Watts

Un altro esempio di via di introduzione è la costruzione del canale di Suez, che ha messo in contatto due mari, il Mediterraneo e il mar Rosso, che in natura non comunicavano. La nuova via d'acqua ha permesso lo scambio di flora e fauna nell'una e nell'altra direzione: questo movimento prende il nome di migrazione lessepsiana, da Ferdinando di Lesseps che progettò e realizzò il canale. In questi ultimi anni, il numero di specie lessepsiane è in aumento anche a causa dell'innalzamento della temperatura delle acque. È controverso se in questo caso si possa parlare di vere specie aliene in quanto l'intervento umano si è limitato alla creazione del corridoio attraverso cui si sono spostate, autonomamente, le specie. Un altro caso emblematico è quello dell'Australia, un paese rimasto geograficamente isolato dal resto del mondo e conseguentemente anche dal punto di vista evolutivo. Con la colonizzazione si trovò improvvisamente sommersa da nuove specie, introdotte dai colonizzatori occidentali e più competitive rispetto a quelle indigene: cani, gatti, conigli, volpi. L'impatto con le specie autoctone fu devastante; i nuovi arrivati non trovarono predatori naturali competitivi e si svilupparono in maniera esponenziale. Il coniglio, introdotto nel 1859 in soli 13 esemplari, si riprodusse così velocemente che a metà del secolo scorso, in meno di 100 anni, si stima raggiunse la punta di un miliardo di capi. In seguito, vi fu il dissennato tentativo di introdurre la volpe, suo predatore naturale, che peggiorò la situazione in quanto questa si rivolgeva a prede più facili di quanto non fosse il coniglio, portando molte specie indigene all'estinzione.

Le responsabilità dell'uomo

Storicamente, l'uomo ha sempre contribuito attivamente nella traslocazione di specie da una regione ad un'altra del mondo; già nel I secolo d.C. sono avvenute le prime introduzioni di animali esotici provenienti dall'Oriente: i romani importavano a scopo alimentare ed ornamentale varie specie, allevandole e favorendone dunque la diffusione in natura. Tra queste, possiamo citare ad esempio il daino, il fagiano e la carpa. Durante il Medioevo, "grazie" ai fiorenti scambi commerciali tra Oriente e Occidente, si verificò l'introduzione di alcune specie di roditori in Europa; probabilmente il ratto nero e il ratto delle chiaviche sarebbero giunti nel nostro continente perché trasportati passivamente dai mercantili.

Sempre in questo periodo storico, anche i monaci davano il loro contributo all'introduzione di specie esotiche, in particolare di pesci, piante ed insetti: sono del 1871 le prime segnalazioni di pesce gatto in Europa, importato per fini ornamentali e poi allevato per scopi alimentari, mentre in Italia risalgono ai primi del 1900. Nel 1880, dall'America giungevano all'ittiologo tedesco Von Behr le prime uova di trota iridea (o trota arcobaleno) e iniziava così in tutta Europa l'allevamento di questa specie, che avrebbe avuto grande successo sia nel settore alimentare che in quello della pesca sportiva. Questo salmonide, immesso massicciamente in corsi d'acqua e bacini artificiali, è riuscito a soppiantare quasi completamente alcune delle specie indigene più pregiate in Italia come la trota fario o la trota marmorata. Alla fine del XIX secolo, dall'Asia sono stati importati in molte località anche i carassi (carassio comune e carassio dorato), comunemente noti come "pesci rossi" e attualmente presenti in abbondanza sia negli stagni domestici che nei canali e nei corsi d'acqua naturali di ogni paese europeo.

Secondo un rapporto dell'IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), una piattaforma intergovernativa costituita per migliorare il confronto tra scienza e politica sulle questioni inerenti alla biodiversità e i servizi ecosistemici, più di 37.000 specie aliene sono state introdotte dalle attività umane in tutte le regioni della terra; alcune, come le zanzare, i ratti, le termiti, hanno fatto "autostop" sulle rotte commerciali globalizzate, portando malattie, distruzione dei raccolti e danni a edifici e arredi. L'introduzione, l'affermazione e la diffusione delle specie aliene viaggiano a ritmi che non hanno precedenti nella storia umana, circa 200 specie all'anno. Si stima che almeno 3.500 specie, quasi un decimo del totale delle specie aliene, sono classificate come aliene invasive. Secondo lo stesso IPBES le specie aliene invasive sono uno dei maggiori fattori diretti di perdita della biodiversità, insieme a distruzione e degradazione di habitat, inquinamento, prelievo di risorse biologiche e cambiamenti climatici e costano al mondo almeno 423 miliardi di dollari ogni anno: un incremento del 400% ogni decennio dal 1970, che secondo le previsioni continuerà a salire negli anni a venire.

Un'invasione incessante di fauna e flora

La diffusione delle specie aliene è sempre legata a fattori antropici, fra i vettori noti ci sono: le acque di zavorra delle navi, caricate in paesi tropicali e scaricate nei porti europei piene di larve di molte specie di meduse e molluschi; gli animali fuggiti da allevamenti come la nutria e il visone; o quelli tenuti da compagnia e poi rilasciati o sfuggiti come pappagalli, tartarughe e testuggini; le stive delle navi dove da sempre hanno viaggiato i ratti.

La migrazione spontanea, invece, è la diffusione naturale in un determinato territorio di una specie alloctona come il cormorano che dal nord Europa ha invaso i nostri laghi e fiumi e l'ibis sacro arrivato dal nord Africa.
In Italia, la fauna e la flora sono ricche di animali e piante introdotti e diffusi più o meno volontariamente; dalle ultime ricerche si stima che nel nostro Paese siano almeno 15 i mammiferi (12% delle specie) e 63 i pesci (50% delle specie) introdotti dall'uomo. I canali di introduzione negli anni sono profondamente cambiati, soprattutto a causa della globalizzazione che ha portato a modificare e semplificare gli scambi economici e turistici tra i diversi paesi, ma sono avvenuti in tutti i tempi, nel caso di immissioni molto antiche diventa difficile distinguere se la specie è indigena o meno. Di esempi ve ne sono moltissimi: sia in botanica che nel regno animale abbiamo piante che da secoli fanno parte del nostro paesaggio e sono specie che ormai consideriamo naturalizzate, come molte erbe, che sono caratteristiche dei nostri campi in quanto introdotte assieme allo stesso grano migliaia di anni fa dalle regioni del Medio Oriente di cui è originario il cereale, come il papavero, il fiordaliso e molte graminacee o piante come l'olivo, il cipresso, la robinia, l'ailanto, il prugnolo americano ed il pino nero, lo stramonio, la peste d'acqua, il fico d'India che in alcuni casi tendono a sostituire la vegetazione naturale, comportandosi come specie invasive, rendendo a volte necessaria una lotta contro la loro diffusione.

La nutria è inserita nell'elenco delle 100 specie invasive più dannose al mondo, in quanto indebolisce gli argini dei fiumi con le sue tane ed è responsabile della drastica diminuzione delle piante acquatiche che fungono da riparo ad altre specie viventi
La nutria è inserita nell'elenco delle 100 specie invasive più dannose al mondo, in quanto indebolisce gli argini dei fiumi con le sue tane ed è responsabile della drastica diminuzione delle piante acquatiche che fungono da riparo ad altre specie viventi - © Petar Milošević

In ogni caso, non è giusto generalizzare, in quanto il concetto di specie invasiva va valutato caso per caso. Non sempre tali specie danneggiano la vegetazione autoctona: in alcuni ambienti non degradati sia l'ailanto, sia la robinia sono presenti senza essere invasivi e possono essere considerati alla stregua di altre essenze introdotte e naturalizzate senza traumi, pertanto eventuali lotte contro tali specie devono essere intraprese quindi solo dopo una attenta valutazione dei reali danni: piante presenti da secoli sono ormai così naturalizzate che sarebbe impossibile immaginare il nostro territorio senza olivi o fichi d'india.

Tra gli animali, l'introduzione aliena è stata più massiccia tra i pesci d'acqua dolce e nei loro ecosistemi; in molti fiumi e laghi nazionali la fauna originaria è stata completamente snaturata dall'introduzione di animali provenienti da quasi tutto il mondo.

Dalla zanzara al punteruolo rosso

La zanzara tigre (Aedes albopictus), originaria del sud-est asiatico, ha sfruttato i trasporti commerciali umani per diffondersi in molte zone del mondo, i primi esemplari riprodotti in Europa sono stati ritrovati in Albania settentrionale nell'agosto 1979. In Italia, ha fatto la sua comparsa nel 1990 a Genova; da qui si è diffusa praticamente in tutta la penisola ed è presente in molti altri paesi europei. È inserita nell'elenco delle 100 specie invasive più dannose al mondo.

Il tarlo asiatico (Anoplophora chinensis) è di origine asiatica, ma attraverso il commercio internazionale è stato accidentalmente introdotto in Nord America (USA e Canada) ed in Europa. È un coleottero cerambicide estremamente nocivo per molte specie di latifoglie ornamentali, arboree e arbustive sia in ambito forestale che urbano. I danni maggiori associati alle infestazioni sono provocati dalle larve che scavano gallerie per nutrirsi del legno; questi danni si sommano a quelli provocati dagli adulti quando producono i fori di sfarfallamento.

Il punteruolo rosso, originario dell'Asia sudorientale e della Melanesia, è un coleottero che svolge tutto il suo ciclo vitale all'interno di varie specie di palme e la cui larva si nutre dei tessuti della pianta ospite portandola al collasso
Il punteruolo rosso, originario dell'Asia sudorientale e della Melanesia, è un coleottero che svolge tutto il suo ciclo vitale all'interno di varie specie di palme e la cui larva si nutre dei tessuti della pianta ospite portandola al collasso - © Katja Schulz

Il punteruolo rosso (Rhynchophorus ferrugineus), originario dell'Asia sudorientale e della Melanesia, dove è responsabile di seri danni alle coltivazioni di palma da cocco, è un coleottero che svolge tutto il suo ciclo vitale all'interno di varie specie di palme e la cui larva si nutre dei tessuti della pianta ospite portandola al collasso. Si è diffuso in quasi tutti i Paesi del bacino meridionale del Mar Mediterraneo, in Italia dal 2004 si è diffuso velocemente verso il Nord della penisola, in Campania portando a morte centinaia di palme secolari.

Il cinipide del castagno (Dryocosmus kuriphilus ) è un piccolo imenottero che induce la comparsa di galle su germogli e foglie delle piante colpite nei quali la sua larva compie il ciclo vitale. Risulta particolarmente dannoso per il castagno e specie affini per cui viene considerato l'insetto più nocivo a livello mondiale a causa del veloce deperimento delle piante che attacca. Originario della Cina, la sua diffusione è stata molto rapida anche grazie all'assenza di limitatori naturali in grado di contenerne la diffusione.

Dalla nutria allo scoiattolo grigio...

Infine, i mammiferi, che sono sicuramente tra gli alloctoni quelli più popolari. La nutria (Myocastor coypus) è un altro caso di specie aliena che riguarda l'Italia; originaria del Sudamerica, si è diffusa, a partire dal bacino del Po, in tutta Italia. Nel secondo dopoguerra diventò di gran moda la pelliccia di castorino, altro nome della nutria, vennero quindi impiantati allevamenti intensivi in Europa, ma molti esemplari fuggirono o furono rilasciati dagli allevamenti e si insediarono nei fiumi italiani, dove hanno trovato un ambiente ideale per la loro riproduzione. Oggi la nutria è presente in tutta Europa fino alla Scandinavia, ma anche in Asia Minore, Caucaso e Giappone, è stata inserita nell'elenco delle 100 specie invasive più dannose al mondo, in quanto le tane sui fianchi dei fiumi indeboliscono gli argini, Tra gli altri effetti indesiderati della presenza della nutria c'è anche la drastica diminuzione delle piante acquatiche che fungono da riparo ad altre specie viventi e i danni causati all'agricoltura, sempre in numero maggiore. In Italia è una specie ormai largamente diffusa in tutto il centro nord e specialmente in pianura padana. Al sud invece le popolazioni sono più localizzate ma sempre più consistenti come anche in Sicilia e Sardegna.

Originaria del Sudamerica, la nutria si è diffusa, a partire dal bacino del Po, in tutta Italia. Nel secondo dopoguerra diventò di gran moda la pelliccia di castorino, altro nome della nutria, vennero quindi impiantati allevamenti intensivi in Europa, ma molti esemplari fuggirono o furono rilasciati dagli allevamenti e si insediarono nei fiumi italiani
Originaria del Sudamerica, la nutria si è diffusa, a partire dal bacino del Po, in tutta Italia. Nel secondo dopoguerra diventò di gran moda la pelliccia di castorino, altro nome della nutria, vennero quindi impiantati allevamenti intensivi in Europa, ma molti esemplari fuggirono o furono rilasciati dagli allevamenti e si insediarono nei fiumi italiani - © Gigillo 83

Il silvilago o minilepre (Sylvilagus floridanus) originario del Nordamerica è stato introdotto per la caccia in Francia e Italia; la specie si è ampiamente diffusa in Piemonte, ma sono segnalate popolazioni in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria. Il silvilago, nelle zone ove si è insediato stabilmente e con una popolazione numericamente elevata, può produrre danni sensibili alle colture agricole, in particolare a soia, frumento e mais in fase di crescita, giovani piante di vite e di pioppo, alberi da frutto. La specie ha un impatto negativo anche nei confronti della lepre europea e probabilmente del coniglio selvatico, di conseguenza i piani di eradicazione dovrebbero riguardare in via prioritaria le aree protette e altri ambiti di gestione dei Lagomorfi autoctoni allo stato naturale. Inoltre, è importante sottolineare che il silvilago rappresenta un serbatoio epidemiologico per la mixomatosi, per la malattia emorragica virale (MEV) e per l'European brown hare syndrome (EBHS), rispetto alle quali esso è resistente, con conseguenze negative importanti per le popolazioni di lepre europea, lepre italica, coniglio selvatico e conseguentemente degli allevamenti industriali di coniglio domestico.

La presenza dello scoiattlo grigio incide sulla sopravvivenza della specie autoctona (in fotografia) e sull'attività umana: sono infatti in aumento anche i danni all'agricoltura
La presenza dello scoiattlo grigio incide sulla sopravvivenza della specie autoctona (in fotografia) e sull'attività umana: sono infatti in aumento anche i danni all'agricoltura - © Dedenikon

Lo scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis) originario del Nord America, sta colonizzando i boschi dell'Europa. Inizialmente era venduto come animale da compagnia e ora è arrivato a popolare i boschi, dove la convivenza col cugino europeo non è del tutto pacifica. Le prime popolazioni furono avvistate in Piemonte a metà del secolo scorso ed ora è diffuso in tutte le regioni dell'Italia settentrionale. Più grande degli scoiattoli rossi italiani e più veloce a procurarsi il cibo, lo scoiattolo grigio si sta sostituendo al cugino italiano, causandone l'estinzione nelle aree dove le due popolazioni si sovrappongono: anche per questo è stato inserito nell'elenco dei 100 animali invasivi più dannosi al mondo. La sua presenza non incide solo sulla sopravvivenza della specie autoctona di scoiattolo ma anche sull'attività umana: con il crescere della sua presenza sono aumentati anche i danni all'agricoltura. Soprattutto nella zona del Piemonte moltissimi sono i danni alle coltivazioni di nocciole e, in generale, lo scoiattolo grigio ha un maggiore impatto sull'habitat forestale perché tende a scortecciare gli alberi lasciandoli esposti a funghi e insetti.

Cervi e procioni

Il cervo sika (Cervus nippon) è stato introdotto e allevato a scopo alimentare; i primi esemplari in libertà di cui si ha prova risalgono a foto scattate in provincia di Modena nel dicembre 2011. In seguito, esemplari sono stati visti e catturati anche in provincia di Parma e poi sono stati trovati esemplari ibridi; questi costituiscono una minaccia per la conservazione delle popolazioni di cervo europeo, in quanto l'ibridazione comporta un rischio di perdita dell'identità genetica per la forma autoctona. Attualmente le Province interessate sono quelle di Forlì, Bologna, Modena, Reggio Emilia e Parma. Il prelievo venatorio del Cervus nippon, è attuabile ai sensi della legge n. 157/1992 che ne prevede la gestione in quanto specie alloctona. Infatti, sentito l'ISPRA, si possono abbattere in quanto sono abbattimenti finalizzati all'eradicazione o comunque al controllo delle popolazioni.

Il tamia siberiano (Tamias sibiricus ) è un piccolo scoiattolo distribuito in Siberia, Mongolia, Cina centrale e settentrionale, Corea e sull'isola di Hokkaido in Giappone; introdotto in Italia negli anni '60 del secolo scorso come animale domestico, in seguito alla fuga da un grossista di animali ha colonizzato i boschi intorno a Belluno. Attualmente se ne segnala la presenza nel Lazio: a Roma c'è un nucleo a Villa Ada con pochi individui. Inoltre, sono stati segnalati nuclei anche in Liguria a Genova. In Friuli la specie è presente in provincia di Gorizia e Udine.

Il silvilago o minilepre, originario del Nordamerica, è stato introdotto per la caccia e si è ampiamente diffuso in Piemonte ma sono segnalate popolazioni in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria. Dove è insediato stabilmente e con una popolazione numericamente elevata, può produrre danni sensibili alle colture agricole, forestali, agli alberi da frutto e ha un impatto negativo nei confronti della lepre europea e probabilmente del coniglio selvatico
Il silvilago o minilepre, originario del Nordamerica, è stato introdotto per la caccia e si è ampiamente diffuso in Piemonte ma sono segnalate popolazioni in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria. Dove è insediato stabilmente e con una popolazione numericamente elevata, può produrre danni sensibili alle colture agricole, forestali, agli alberi da frutto e ha un impatto negativo nei confronti della lepre europea e probabilmente del coniglio selvatico - © Paul Danese

Il procione (Procyon lotor) appartiene ad una specie il cui areale comprende il sud del Canada, buona parte degli Stati Uniti, il Messico e parte dell'America centrale sino a Panama. In Europa la specie è stata deliberatamente introdotta in passato per scopi venatori in Germania e come animale da pelliccia nell'ex Unione sovietica. La successiva commercializzazione della specie, come animale da compagnia, ha rappresentato la via d'introduzione principale anche in Italia almeno fino al 1996, anno in cui il procione è stato inserito nella lista delle specie pericolose e ne è stata vietata la detenzione e la vendita, attraverso il D.M. 19 aprile 1996, "Elenco delle specie animali che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica e di cui è proibita la detenzione". La distribuzione attuale del Procione in Italia interessa tre Regioni: la Lombardia, la Toscana e marginalmente l'Emilia-Romagna. In Lombardia è nota la presenza di una popolazione riproduttiva dal 2003, nei territori del Parco Adda Nord, nell'area compresa tra i comuni di Vaprio d'Adda a nord e Cassano d'Adda a sud. Questa popolazione è tuttavia oggetto di un programma mirato alla sua rimozione a partire dal 2016 e lo stato della popolazione è attualmente prossimo all'eradicazione. Anche la Regione Toscana ha avviato un piano di eradicazione recentemente condiviso anche dall' Emilia-Romagna.

Eradicazione e controllo

In conclusione, trattandosi di specie aliene, l'eradicazione o il controllo sono da ritenersi necessari e in linea con il Regolamento Europeo n. 1143/2014, che indica le disposizioni volte a prevenire e gestire l'introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive. Affinché questo Regolamento possa essere efficace, è necessario che tutta la società sia informata circa le minacce legate alle invasioni biologiche. Per questo bisogna puntare sulla prevenzione, identificando gli organismi che potrebbero arrivare nel nostro Paese, ma soprattutto aumentando la consapevolezza sui rischi connessi a questo fenomeno, perché solo cambiando i comportamenti delle persone possiamo ridurre gli impatti causati dalle specie aliene invasive.

Comportamenti virtuosi

Per far fronte al rischio concreto di arrivo di queste nuove specie, sia i cacciatori che i pescatori, nei loro campi di interesse, devono evitare: i rilasci accidentali e volontari di nuove specie di selvaggina aliene e ridurre il rischio di fughe di quelle tenute in cattività o in aree recintate; il ripristino degli habitat e l'alimentazione della selvaggina devono essere effettuati possibilmente con piante autoctone e mai con piante aliene invasive; utilizzare per il ripopolamento popolazioni adeguatamente gestite dal punto di vista genetico e sanitario, per evitare di introdurre nell'ambiente nuovi agenti patogeni e ridurre il rischio di inquinamento genetico delle specie native; i falconieri devono ridurre al massimo il rischio di fuga di rapaci alieni e il conseguente impatto su specie autoctone. Inoltre, ricordiamo che i cacciatori possono dare un contributo essenziale al monitoraggio della distribuzione e dell'abbondanza delle specie aliene invasive e alla loro gestione attiva e collaborare ai programmi di monitoraggio, sorveglianza e gestione delle specie aliene invasive. Per le loro conoscenze e competenze particolarmente importanti potrebbero essere efficacemente coinvolti nei programmi di controllo o eradicazione e supportare un sistema di rapida allerta; è anche importante rammentare che quando una specie aliena invasiva si insedia, l'eradicazione dovrebbe essere considerata come la risposta prioritaria.

Siccome moltissimi cacciatori si dedicano anche alla pesca ricreativa, si ricorda che anche in questa pratica l'impatto delle specie invasive è rilevante e si dovrebbero pertanto perseguire i seguenti obiettivi: impedire il rilascio, la diffusione e la traslocazione di specie aliene invasive che hanno un impatto sulle popolazioni ittiche native o sull'ambiente; effettuare popolamenti e ripopolamenti solo in ottemperanza delle norme e regionali e nazionali; notificare immediatamente la presenza di specie aliene invasive.

Articolo concesso da Diana & Wilde / Edizioni Lucibello, aprile 2024

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