La Corte costituzionale ha emesso una sentenza i cui passaggi costituiscono un precedente problematico
La Corte costituzionale ha emesso una sentenza i cui passaggi costituiscono un precedente problematico - © Chris Potter
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di Redazione

Dalla Corte costituzionale una nuova sentenza problematica

Chiamata ad emettere un giudizio di costituzionalità sull'art 43 c.3 della legge regionale 26/93, la legge lombarda sulla caccia, la Corte costituzionale ha emesso una sentenza i cui passaggi costituiscono un precedente problematico ben oltre i confini regionali.

L'articolo giudicato incostituzionale tratta, trattava sarebbe meglio dire, il divieto di caccia entro i mille metri dai valichi montani, per il quale il legislatore lombardo aveva aggiunto alcune specifiche previsioni atte a limitare il numero di valichi interessati dal divieto previsto in maniera generica dalla 157. Tralasciando i contenuti specifici della sentenza, la Corte, nel pronunciarsi sulla non costituzionalità della norma impugnata, ha messo nero su bianco alcune considerazione che rischiano di creare un precedente giurisprudenziale pericoloso e che potrebbero avere ricadute indirette anche al di fuori della Lombardia e della norma impugnata.

La prima di queste considerazioni è che la parte di territorio nel quale va vietata la caccia ai sensi della legge nazionale, ovvero quella entro un chilometro dai valichi montani, non sia da ricomprendere nella percentuale di Tasp (territorio agro silvo pastorale) da sottrarre all'attività venatoria nella pianificazione faunistico venatoria. La ricaduta pratica di un simile approccio è duplice, da una parte si aumentano le già numerose aree protette presenti incrementandole con le "fasce di rispetto" dei valichi, dall'altra si costringe la pianificazione a reintegrare la percentuale di tali zone sottraendo ulteriore spazio al territorio cacciabile. Semplificando per ogni ettaro ricompreso nei mille metri da un valico, ne verrebbero "sottratti" due all'attività venatoria.

La corte ha poi aggiunto che «L'art. 21, comma 3, della legge n. 157 del 1992 (...) non fa distinzione alcuna tra i valichi, ponendo un divieto di caccia nel raggio di mille metri per tutti quelli attraversati dalla fauna migratoria». Viene facile comprendere come una simile definizione si presti a molteplici interpretazioni e che la non possibilità di individuare i valichi maggiormente meritevoli di protezione, come inizialmente previsto dalla norma lombarda impugnata, rischi di portare alla stortura che considera valico ogni "sella" tra due rilevi oltre i 700m slm con le conseguenze facilmente immaginabili.

Come se non fosse sufficiente, i giudici hanno inoltre specificato che il divieto di caccia entro i mille metri dai valichi, seppur motivato dalla necessità di proteggere la sola avifauna migratrice, sia da intendere come assoluto dal momento che «tutta la materia dei divieti di cui al ricordato art. 21 della legge n. 157 del 1992, in nessun caso fa distinzioni tra le specie cacciabili anche per evidenti ragioni di controllo dell'attività venatoria» rendendo così impossibile al legislatore regionale sottrarre al divieto le altre forme di caccia come ad esempio la selezione.

Insomma, un bel pasticcio che rischia di complicare ancora di più la vita dei cacciatori in un paese come l'Italia che, cinta a nord dalle Alpi e attraversata per tutta la sua interezza dagli Appennini, risulta piena di "valichi montani".

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