La caccia, tra passato - presente e futuro: per disegnare un futuro migliore della nostra passione è indispensabile giudicare con spirito critico gli errori fatti nel passato (e reiterati nel presente)
La caccia, tra passato - presente e futuro: per disegnare un futuro migliore della nostra passione è indispensabile giudicare con spirito critico gli errori fatti nel passato (e reiterati nel presente)
Pubblicato il in Caccia responsabile
di Matteo Brogi

Il ruolo dell'esperienza per definire il futuro della caccia

Un incontro dal titolo "Caccia: passato, presente e futuro" è l'occasione per discutere con le Associazioni venatorie del ruolo della caccia nel futuro e definire un piano strategico per risolvere il tema del credito di credibilità che affligge il cacciatore italiano

I tempi sono maturi. Le Associazioni venatorie hanno metabolizzato la consapevolezza che bisogna cambiare se si vuole che la caccia assuma quel ruolo che le è proprio nella gestione dell'ambiente e della fauna selvatica. Ma restano troppo accondiscendenti nei confronti di chi avversa il cambiamento, nella classe dirigente e tra gli iscritti. L'incontro Caccia: passato, presente e futuro, cui sono stato invitato per portare il punto di vista di Hunting Log, ha avuto il grande merito di far sedere attorno a un tavolo due Associazioni, Federcaccia e Arcicaccia, che hanno dimostrato di avere una visione. La chiacchierata pubblica è stata organizzata a Montaione, nella Valdelsa fiorentina, terra di cinghialai e forti passioni. L'occasione è stata la Festa del cacciatore, organizzata dalle due associazioni venatorie dal 2013 insieme alle locali squadre di cinghialai e con il patrocinio del Comune.

Si vive nel presente per costruire il futuro, forti dell'esperienza maturata nel passato. In maniera forse un po' semplicistica si potrebbe collegare in questa maniera i tempi della Storia, quella nostra di cittadini in generale e di cacciatori in particolare, evocati nel titolo dell'incontro.

Partiamo dal passato

La caccia nasce con l'uomo, anzi ha contribuito in maniera fondamentale allo sviluppo del genere umano, esaltando l'organizzazione dei suoi comportamenti e la socializzazione, anche se non sono pochi gli antropologi che danno un maggiore peso evoluzionistico ad altre fasi successive, quali l'allevamento - quindi la domesticazione - e lo sviluppo dell'agricoltura. Certamente quella del cacciatore-raccoglitore è una fase che precede quella della domesticazione, di piante o animali che sia, e ha avuto un peso nell'evoluzione dell'uomo.

Quale sia il peso evoluzionistico che vogliamo dare alla caccia, ancora oggi riveste un ruolo che le è riconosciuto anche dallo spirito della normativa europea. Ce lo ricorda Silvano Toso che, in occasione del suo intervento alla tavola rotonda I principi della caccia moderna al Caccia Village 2022, ha ribadito quali siano le condizioni tecniche e scientifiche perché la caccia possa essere attuale:

- la conoscenza delle risorse faunistiche e il loro utilizzo programmato;
- la sostenibilità del prelievo;
- la raccolta dei dati inerenti alla gestione venatoria e la loro successiva diffusione;
- un contributo positivo dei cacciatori alla conservazione degli habitat.

Tutto parte evidentemente dal passato e, per giustificare questa affermazione, riporto il pensiero di Franco Perco che, con Toso, è il padre della caccia di selezione in Italia, per lo meno di quella appenninica:

"La cultura è un bagaglio di conoscenza e pratiche acquisite e ritenute fondamentali, pertanto trasmesse di generazione in generazione. Quindi, un insieme di valori e di codici di comportamento condivisi nonché di una visione identitaria storicamente determinata".

Il pensiero di Perco - tratto da un suo lavoro pubblicato nel saggio Parlando di gestione, conservazione e anche di caccia..., edito da Uncza nel 2017 - ci porta a considerare il valore di cultura, formazione e tradizione, termine che Perco era restio a utilizzare perché sapeva quanto potesse essere usato a sproposito. Nelle nostre chiacchiere di cacciatori, infatti, si abusa del richiamo alla tradizione, spesso confusa con le abitudini; se la tradizione affonda le radici nei principi, lo stesso non può dirsi per queste ultime, che non hanno profonde giustificazioni ideali. Anzi, nel mondo della caccia sembrano prevalere e il tentativo di nobilitarle ammantandole del valore della tradizione è piuttosto meschino. Farò qualche esempio più avanti. Quindi, se parliamo del passato, dobbiamo fare molta attenzione e ragionare su cosa vogliamo conservare.

Dalla protezione alla gestione

Il Novecento ha visto tre principali interventi legislativi sulla caccia:

  • il Regio decreto 1016 del 5 giugno 1939 - "Testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia";
  • la legge 968 del 27 dicembre 1977 - "Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia";
  • la legge 157 del 11 febbraio 1992 - "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio".

Senza addentrarmi in un excursus sullo status giuridico della fauna e del diritto di caccia, tema interessante ma che ci porterebbe lontano, mi piace ricordare come la normativa del 1939 nascesse in un periodo in cui la caccia, ormai un fenomeno borghese, era considerata uno "sport speciale" (ancora Perco). La normativa successiva introdusse il principio della selvaggina patrimonio indisponibile dello stato, tutelata nell'interesse della comunità nazionale. Erano gli anni dei 2 milioni di licenze, si parlava di caccia in tv e quella del cacciatore era una figura socialmente accettata. La 157 - con la quale ancora ci confrontiamo - ha avuto l'indubbio merito di legare il cacciatore al territorio ma nasce vecchia. Viene promulgata negli anni in cui si afferma la caccia di selezione, ma essa la trascura. Sono anni in cui si comincia a parlare di prelievo dei frutti del capitale fauna, senza intaccarlo e a ragionare in termini di gestione e conservazione. Ma, insomma, questi principi il cacciatore li ha dovuti maturare autonomamente.

Formazione, formazione, formazione

Qui entra in gioco il tema della formazione e dell'educazione di un cacciatore nuovo. Perco sosteneva che dovesse essere spettatore più che ordinatore, protettore e difensore della natura. Doveva cioè evitare la "brutalità efficiente" insita nel suo ruolo di gestore per maturare un desiderio intimo di rendersi "protagonista della conservazione", di essere consapevole del proprio ruolo e di esserne orgoglioso. Operazione non facile in un mondo che arrivava a una nuova cultura venatoria dopo gli anni bulimici della caccia fenomeno di massa. L'Italia non è la Mittel Europa tanto cara a Perco.

Il trentennio della 157 ha visto svilupparsi sensibilità differenti dalle nostre in termini di benessere animale (ora in Costituzione, articolo 9), scelte alimentari più o meno giustificate da premesse filosofiche (vegetarianismo e veganismo), posizioni ideologiche estreme come l'animalismo. Hanno inoltre conquistato diritto di cittadinanza le necessità di vivere il bosco da parte di altre categorie (escursionisti, raccoglitori di funghi e di tartufi, appassionati di mountain bike, eccetera) che certamente non hanno meno diritti dei cacciatori. Chiave di tutto pertanto sono la sostenibilità e un approccio rispettoso delle risorse (anche il bosco, non solo la selvaggina) che sono di tutti anche se pochi se ne prendono cura.

Conservazione e prelievo sostenibile

Voliamo per un istante con il pensiero negli Stati Uniti e prendiamo come esempio l'esperienza della Wilderness: nata nei primi decenni dell'Ottocento dal pensiero di Henry David Thoreau (filosofo e scrittore) e di Aldo Leopold (ecologo, conservazionista e... cacciatore), tra gli altri, ritiene che la natura selvaggia vada conservata in quanto valore di per sé, patrimonio spirituale per l'uomo per ciò che essa suscita a livello interiore. È una filosofia ambientalista - non dobbiamo avere paura di questa definizione - propugnata da chi, Leopold, riteneva corretto l'uso sostenibili delle risorse naturali rinnovabili. Dalle aree wilderness sono bandite tutte le opere di antropizzazione (tra cui le strade) ma la caccia è consentita, purché nel rispetto delle altre forme di fruizione previste. I veri pericoli, per l'ambiente, sono dati dal consumo del suolo, cementificazione, allevamento e agricoltura intensiva, inquinamento, cambiamenti climatici e bracconaggio (altro tema sul quale, da cacciatori, dobbiamo interrogarci: facciamo abbastanza per contrastarla?).

Bisogna quindi ancora imparare a fare gestione o, per lo meno, a far sì che questo principio sia assimilato da parte della comunità dei cacciatori che gli è ostile. Chi ci ha preceduto, penso all'insegnamento che ho ricevuto da mio padre, nato nel 1931, la faceva in maniera istintiva. Essere vecchi o giovani non c'entra nulla con l'età anagrafica. Gli anni della caccia di massa - accolta con favore da chi in essa ha visto uno strumento di riscatto democratico della popolazione - hanno stravolto inevitabilmente tutti i parametri e hanno portato un gran numero di persone prive di un vero legame e di una passione per l'ambiente. Ne paghiamo ancora le conseguenze. Questo è il ruolo della formazione, oggi: sostenibilità, conservazione della biodiversità, responsabilità del cacciatore sono temi che vanno ancora assimilati. Non basta definirsi paladini del territorio se poi, nella pratica, non si agisce coerentemente. Saremmo solo visti (come purtroppo ancora accade) come degli ipocriti in grado di cavalcare delle parole d'ordine per il proprio bieco interesse.

Affrontiamo con coraggio i temi scomodi

Quindi vanno affrontati con consapevolezza temi scomodi, che come categoria tendiamo a rifiutare in nome di una malintesa tradizione, fatta piuttosto di pratiche e abitudini. Mi limito a menzionarne tre, ai miei occhi emergenti.

Il piombo, per iniziare. Se vogliamo che la caccia trovi di nuovo cittadinanza tra l'opinione pubblica è dimostrato che sarà utile sostenere la valorizzazione dei suoi frutti. La filiera selvatica, per intenderci. Ma se non andiamo incontro alla società, oggi particolarmente attenta e informata (quando non allarmata) sui temi della salute e dei danni legati all'inquinamento da piombo, non faremo progressi. La strenua difesa del munizionamento convenzionale è uno dei peggiori errori che stiamo commettendo. Si dirà che è solo un errore mediatico, si potrà obiettare che il piombo non è così pericoloso come viene descritto, ma se l'azione delle Associazioni nazionale e internazionali si basa su questo punto, non stiamo difendendo la caccia. La stiamo affossando. Le alternative al piombo, se siamo oggettivi, ci sono.

Il controllo delle specie problematiche. Oggi che si parla addirittura di peste suina africana e depopolamento, e certi selvatici sono un rischio per le attività economiche, dobbiamo agire in maniera credibile. Non possiamo far mancare il nostro contributo alla comunità, dobbiamo guardare a un futuro più lontano rispetto alla prossima stagione di caccia.
Non posso fare a meno di pensare all'inerzia che dimostriamo nella gestione straordinaria del cinghiale e alle situazioni di conflittualità tra selettori e cinghialai. La sfida che ci aspetta è di rendere l'opinione pubblica consapevole che la caccia è il primo e più importante strumento di gestione e risolutore dei conflitti. Il fatto che alcune Regioni debbano pagare per il controllo della specie, è la misura del nostro fallimento di cacciatori.

La comunicazione. il trofeo (che sia il palco dell'ungulato o l'abbondanza del carniere) è un elemento molto importante per il cacciatore ma pure per la pubblica opinione, che non ne percepisce l'utilità se non in termini di vanagloria. Dobbiamo imparare a non focalizzare la nostra attenzione su questo aspetto, specie quando ci apriamo al confronto e al giudizio dei social media, che offrono alla nostra pur legittima soddisfazione una platea sconfinata. Dobbiamo imparare a comunicare la nostra storia, i motivi che animano la nostra passione, quello che facciamo con la carne del selvatico che preleviamo. È sufficiente postare foto rispettose, raccontare le nostre emozioni più che i nostri abbattimenti, dimostrare che siamo realmente coinvolti nella gestione dell'ambiente e non per ipocrisia o per convenienza per cambiare il corso della storia della caccia. Se ne è parlato nella tavola rotonda Comunicare la caccia, a Caccia Village 2023.

Secondo gli ultimi dati disponibili, uno studio commissionato a Nomisma da Federcaccia, la caccia in Italia gode di un grado di accettazione del 41%. I contrari corrispondono al 48% della popolazione. Questo deficit di reputazione è una caratteristica della nostra nazione che non trova riscontro nell'Europa centro-settentrionale. In Germania e Danimarca, tanto per fare due esempi di cui ho esperienza diretta, il livello di accettazione della caccia è al 90% e il cacciatore gode di uno status di rispettabilità che noi ci sogniamo. Di più, in Germania negli ultimi 20 anni, i cacciatori sono passati da 340.000 a 410.000 con un notevole incremento percentuale generale e, in dettaglio, della componente femminile.

Proviamo a pensare al futuro

E cosa dire del nostro rapporto con le associazioni ambientaliste? Perché la posizione del WWF italiano - per fare un esempio eclatante - è così avversa alla caccia quando all'estero collabora su specifici progetti con il mondo venatorio?

Io credo che ci si debba interrogare con onestà sui motivi per cui la nostra reputazione è tanto appannata e che dobbiamo riflettere - serenamente ma con onestà - sugli errori che abbiamo fatto e continuiamo a fare per non commetterne di nuovi. Dobbiamo scegliere se accontentarci di giocare in difesa della nostra passione, con la speranza che possa sopravvivere e sia un lascito alle generazioni future, oppure in attacco, e far sì che sia considerata uno strumento essenziale per la gestione del territorio e della fauna selvatica. Se vogliamo farlo dobbiamo cambiare molti atteggiamenti. È la differenza che corre tra pensare troppo al passato e invece lavorare (ripensando agli errori del passato) per costruire un futuro migliore, per la caccia e per l'ambiente.

Se sei interessato alla caccia sostenibile e alla conservazione dell'ambiente e della fauna selvatica, segui la pagina Facebook e l'account Instagram di Hunting Log, la rivista del cacciatore responsabile.

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